PALERMO – “La mafia ha sempre cercato la trattativa, lo scambio è nella strategia mafiosa”, ma “il punto è la risposta dello Stato” e “mai nessuno ha avuto la sensazione di un cedimento dello Stato”. Lo ha detto Luciano Violante, sentito come testimone dalla Corte d’Assise di Caltanissetta nell’ambito del processo Borsellino Quater. L’udienza è in corso nell’aula bunker di Rebibbia.
L’allora “colonnello Mori mi disse che Vito Ciancimino voleva avere un colloquio personale, riservato come me. Io dissi che non facevo colloqui personali e se voleva Ciancimino poteva mandare una richiesta formale”. Così Luciano Violante sentito oggi nel processo Borsellino quater, in merito alle richieste di Ciancimino di essere sentito nel ’92 dalla commissione parlamentare Antimafia, allora presieduta dallo stesso Violante. Ripercorrendo i suoi rapporti con Mario Mori, ufficiale del Ros, Violante ha ricordato di averlo conosciuto quando era giudice istruttore a Torino e Mori era era “uno stretto collaboratore di Dalla Chiesa”. Rispetto alla richiesta di Ciancimino, ex sindaco colluso di Palermo, Violante ha parlato di “tre incontri a distanza ravvicinata con Mori poco dopo la mia nomina in Antimafia, in cui mi parlò anche di un libro di Ciancimino sulla mafia” e “mi disse che Ciancimino voleva riferire una sua valutazione politica su quanto stava accadendo in Sicilia”. Ciancimino, ha ricostruito Violante, “chiedeva una ripresa in diretta tv dell’audizione, che fu rifiutata. Il 27 ottobre arrivò la lettera di Ciancimino con cui chiedeva formalmente di essere sentito, senza condizioni. Poi, Ciancimino fu arrestato e i magistrati dissero che avremmo potuto sentirlo solo dopo gli interrogatori”. L’audizione fu quindi procrastinata e poi non si tenne mai perché “nel gennaio ’94 vennero sciolte le Camere”.
“L’idea che mi feci è che fosse una sorta di confidente”. Lo ha detto nella sua testimonianza al Borsellino quater Luciano Violante, interpellato dal sostituto Gabriele Paci, che oggi nell’udienza tenutasi all’aula bunker di Rebibbia, ha rappresentato la Procura di Caltanissetta insieme al collega Stefano Luciani. Paci ha chiesto a Violante come l’allora colonnello Mori spiegò i rapporti tra i carabinieri e Ciancimino. “Credo che Mori stesso mi disse che era un rapporto di carattere confidenziale”, ha detto Violante. “Allora – ha aggiunto – questo era frequente allora nei rapporti tra forze di polizia e soggetti tangenti alla mafia. Era un rapporto di scambio che nel tempo si è quasi esaurito, quando gli strumenti per acquisire informazioni sono cambiati, con l’arrivo di microspie e intercettazioni”.
Sul 41 bis ci sono state “interferenze, che ho giudicato un fatto anomalo, da parte dell’Interno e da parte di uffici del ministero della Giustizia non competenti”. Lo ha detto testimoniando al processo Borsellino Quater Nicolò Amato, capo del Dap tra il 1983 e il 1993, sentito oggi dalla Corte d’assiste di Caltanissetta in trasferta a Roma. “Sentivo la presenza di una componente estranea da parte dell’Interno”, ha detto Amato. “Nella persona del ministro?”, gli è stato chiesto. “Questo non posso dirlo, direi cose che non mi risultano”, ha risposto Amato, che per spiegare le sue affermazioni ha fatto riferimento in particolare a due circostanze. “Il 30 luglio ’92 scrissi un appunto al ministro della Giustizia” Claudio Martelli “proponendo nel quadro della linea dura concordata con lui, il 41 bis per una serie di istituti penitenziari”. La misura potenzialmente avrebbe potuto riguardare fino a “cinquemila detenuti mafiosi”, ha spiegato Amato, che afferma di aver allegato una “bozza di decreto all’appunto. Passarono diversi giorni ma non tornavano indietro i decreti firmati da Martelli. Ad agosto venni a sapere di due appunti, che non voglio qualificare, ma che mi stupirono per forma e sostanza: uno del l’11 e l’altro del 12 firmati il primo dal capo dell’ufficio legislativo del ministero della Giustizia e l’altro dalla Direzione affari penali, retta da Liliana Ferraro, già vice di Falcone, che formulavano critiche alla mia proposta, dicendo che doveva essere approfondita e discussa. I due uffici – rileva Amato – avranno agito in buona fede, ma non avevano nessuna competenza per intervenire in materia penitenziaria”. L’altra circostanza si riferisce al febbraio ’93 e riguarda “una riunione del Comitato di sicurezza e ordine pubblico, a cui io partecipavo – ha riferito Amato – e nella quale il capo della polizia Parisi espresse riserve sul 41bis, dicendo che creava tensioni all’esterno delle carceri”. Successivamente “in un fax il Prefetto di Napoli parlò del 41bis a Poggioreale e Secondigliano, chiedendo un’inchiesta interna per verificare quanto affermavano i familiari dei mafiosi e cioè di maltrattamenti da parte della penitenziaria. Dissi a Conso” che nel frattempo era subentrato a Martelli come guardasigilli, che “era inaccettabile questo intervento”. Ma “Conso revocò l’80% dei 41 bis” nelle due carceri campane.
(Fonte ANSA)