PALERMO – Metti un giorno a casa di Maurizio Zamparini. Così, sulla Gazzetta dello Sport andata in edicola stamani, il numero uno del Palermo ha raccontato la sua vita, alla vigilia di una sfida importante come quella di sabato sera contro il Milan. Un uomo come Zamparini non può non avere dei vizi, ma il patron del Palermo ammette che ce n’è uno, nocivo anzichè no, che la ha sempre attirato più di altri:”Il più grande che ho, più che altro l’unico, è il calcio – ammette il patron rosanero – . Costoso quanto il gioco o le donne, ma almeno ha un risvolto sociale: può regalare felicità. Venezia ha tutto, non ne aveva bisogno, ma Palermo sì e quando nelle mie preghiere chiedo scusa per quanti soldi ho buttato con questo giochino, mi sento meno in colpa pensando di aver dato attimi di godimento a tanta gente. Il vizio del calcio sta nell’autopiacersi: siamo, o perlomeno sono, vanitoso, amo apparire, essere riconosciuto per strada. Il Venezia lo presi per passione, comprare il Palermo è stata anche una questione di vetrina: se non ci fosse neanche quella sarei un cretino, perché ci metto soldi, non vedo le partite se non registrate, soffro se si perde. Mi consola non averlo mai fatto al casinò: una volta ci sono entrato per vedere se mi piaceva, ma dopo dieci minuti ero già fuori perché mi ero stufato. Come a 45 anni mi stufai di fumare e mi misi d’accordo con Greta, mia figlia: “Smettiamo?” Smesso, da un giorno all’altro. Il vino? Un piacere e mai una schiavitù, neanche da ragazzi, quando raccoglievo mille lire a testa dagli amici per fare il giro delle sagre e sbronzarci un po’: mica per stordirci, lo facevamo per cantare le canzoni friulane e essere più sciolti nelle balere. Peccato che la prima volta che provai a ballare scelsi l’unica che era zoppa…”.
Zamparini è un uomo al quale è sempre piaciuto tenersi in forma, ma ammette che oltre al calcio non ci sono tanti altri sport nella sua vita: “Non ce ne sono stati altri, al di là del calcio. Avevo le gambe come stuzzicadenti, ma ero un grande colpitore di testa – l’elevazione non è tutto, conta di più il tempismo – e avevo una buona tecnica. Giocavo mezzala, a volte punta: oggi sarei un trequartista, ma allora quel ruolo non esisteva. Ho seguito un po’ il pugilato ai tempi di Loi e Mitri, giochicchiato a basket in collegio – oggi in tv guardo l’Nba, il basket che ha ucciso l’altro basket – ma in testa ho sempre avuto il pallone. Da quando avevo cinque anni: il campetto era proprio sotto casa e mia zia, che sposò un capitano inglese, da Glasgow mi portò un paio di scarpe da calcio alte fino alla caviglia e un pallone di cuoio, di quelli con le cuciture in rilievo, che quando colpivi di testa ti restava il segno sulla fronte. Mica quei palloni di gomma che avevamo noi, che un giorno il figlio del Pierin per calciarlo lo ridusse da buttar via, perché i contadini non si tagliavano le unghie e le aveva così lunghe che gli fece uno squarcio: era l’unico pallone del paese e ce l’avevo io, dunque le partite erano quando dicevo io e le squadre le facevo io. Ho smesso con il calcio giocato che ero in Interregionale, avevo solo vent’anni ma il sogno di mio padre era che facessi l’imprenditore: alla Bovisa c’era un’officina di marmitte per automezzi che mi aspettava”.
Zamparini non le manda a dire anche sul piano religioso, ricordando quali erano i riti da seguire a casa sua, soprattutto in età infantile: “Tutte le sere, come facevo quando avevo cinque anni, dico ancora le preghiere che mi ha insegnato mia madre, però in una chiesa entro solo se è vuota: non è andando a messa che riesco a parlare con Dio. E’ lo stesso spirito con cui entro anche in una moschea, perché tutti i luoghi di preghiera sono luoghi di speranza e tutti gli dei sono giusti: non conta la religione che li riconosce come tali, conta che siano veri simboli d’amore. Però oggi quei luoghi sono vuoti per un altro motivo, da anni manca l’unico messaggio che invece dovrebbe passare: la Chiesa che si fa veicolo d’amore, che si sente al servizio dei credenti. E’ un motivo molto triste, però è così: la religione quasi sempre è stata usata per acquisire e esercitare una qualche forma di potere. Ora da due anni vedo in Vaticano un uomo nuovo che sembra invece voler fare una cosa rivoluzionaria: distruggere quel tipo di potere. Sono molto sorpreso e preferisco parlare di cauta speranza, però me lo auguro da cattolico, perché è quello l’insegnamento che ho avuto, anche se da bambino mi è capitato di fare a gara a chi diceva la bestemmia più grossa: in Friuli è così, più che un’imprecazione è un intercalare, però se oggi me ne scappa una mi dà fastidio, in un certo senso è un modo per allontanarsi da Dio. E io a Dio credo, come alla protezione degli arcangeli e anche ad un’altra vita, sì alla reincarnazione. Non serve fidarsi di Brian Weiss, lo diceva anche Gesù e a me lo ha detto la medium che mi ha regalato la Madonna di Macarena: sostiene che in un’altra vita io fossi Marco Polo. Ma a questo credo di meno: secondo me si è fatta impressionare dal fatto che allora ero proprietario del Venezia”.
Nella testa di Zamparini c’è tanta voglia di cambiare, e per farlo ammette di opporsi ai valori imposti attualmente dalla classe politica: “Vorrei cambiare la politica e il lavoro in Italia combattendo anzitutto la burocrazia, che dove un tempo c’erano due dipendenti oggi ne mette venti, e bisogna chiedere il permesso anche per fare la pipì: studiano come impedirti di fare qualcosa, non come aiutarti a farla. Il Movimento per la Gente esiste ancora, ma la gente non reagisce abbastanza, a parte i giovani che oggi sono spugne desiderose di valori”.
E sul Milan, prossimo avversario del Palermo, Zamparini continua a dispensare frecciate, soprattutto nei confronti dei dirigenti, nella persona di Adriano Galliani: “Galliani è figlio di suo papà, e non c’è bisogno che le spieghi chi è suo papà. Lo aiutai a diventare presidente della Lega, ma gli dissi “adesso devi fare gli interessi di tutti”. Col cavolo: fece solo gli interessi del Milan. Come Berlusconi ha sempre fatto solo quelli di Mediaset”.