Dell'Utri, il pg ha ragione|Ecco perché serve una legge - Live Sicilia

Dell’Utri, il pg ha ragione|Ecco perché serve una legge

Il procuratore aggiunto di Agrigento Ignazio Fonzo interviene nel dibattito innescato dalla sentenza Dell'Utri: "Non si può dire che Iacoviello abbia detto cose errate, la giurisprudenza si è evoluta rispetto ai tempi di Falcone e del pool. Per questo serve una norma sul concorso esterno".
Concorso esterno
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Ignazio Fonzo

La sentenza della Cassazione su Dell’Utri non mi ha stupito; da tempo – sul piano tecnico giuridico – la questione del concorso esterno (specie alla luce della sentenza Mannino) è oggetto di annoso dibattito. Iacoviello, pg della Cassazione, è un noto giurista e, al di là dei toni di cui ha riferito la stampa e che non mi interessano, non può dirsi che abbia detto cose errate.

Rispetto ai tempi dei magistrati antiterrorismo e di Falcone e del pool, che utilizzarono lo strumento del concorso in associazione mafiosa o terroristica, l’evoluzione giurisprudenziale – con i numerosi paletti introdotti nell’individuazione della condotta tipica – ha di fatto, come mi sembra sostenuto dal collega, definitivamente superato la questione concreta dell’individuazione della fattispecie.

La requisitoria del Procuratore Generale Iacoviello, piuttosto, ha riportato in piena attualità la questione relativa all’eventuale introduzione nell’ordinamento penale di una fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa, che costituisce il momento più delicato sul terreno dello scontro politico dottrinale dei diversi modi di intendere il contrasto al fenomeno mafioso. Diverse sono le posizioni assunte da più autori nel dibattito intorno alla punibilità della contiguità alle organizzazioni mafiose e sembra emergere una consapevolezza di fondo, da molti condivisa, circa la necessità di un intervento legislativo che possa ridimensionare il ruolo della giurisprudenza nella selezione delle condotte punibili e di ristabilire, quindi, per questa via un migliore equilibrio della divisione dei poteri tra legislativo e giudiziario. Al riguardo è pendente, alla Camera dei Deputati, un disegno di legge (C.785, Burtone + altri) che individua i settori di intervento che, probabilmente, in questa fase storica richiedono una modifica legislativa. Un primo ambito di intervento attiene alla fattispecie di cui all’articolo 416 ter del codice penale, norma che punisce lo “scambio elettorale politico mafioso”; si tratta di una disposizione introdotta nell’ordinamento penale nel 1992 ed adottata tenendo conto della realtà criminologica, in particolare del fatto che solitamente il politico viene appoggiato dalle organizzazioni mafiose in cambio della concessione di favori diversi dal denaro (ad esempio appalti, posti di lavoro, ed altro). Orbene, proprio per questo sembra necessario estendere l’oggetto della controprestazione “ad altra utilità” e non solo – come previsto attualmente – all’erogazione di somme di denaro. E, a riprova della necessità di modificare la norma in esame, deve rilevarsi che nella pratica applicazione del disposto normativo è prevalso sino ad oggi un orientamento restrittivo che richiede la necessità del metodo mafioso per la concreta realizzazione del reato di “scambio elettorale politico-mafioso”: di fatto ciò ha reso la norma in questione praticamente inutile. Se, dunque, scopo della norma di cui all’articolo 416 ter del codice penale è quello di evitare che le competizioni elettorali siano inquinate dall’azione delle organizzazioni mafiose, le quali (anche solo potenzialmente) impegnandosi a favore o contro determinati candidati possono alterare la corretta dialettica democratica, anticipandosi – come prevede il disegno di legge – la soglia di punibilità al semplice accordo tra il candidato e l’associazione mafiosa, che riceve dal primo denaro od altra utilità in cambio della promessa di voti, si previene o meglio si cerca di prevenire l’intervento dell’ organizzazione criminale sul terreno concreto del reale indirizzo del consenso verso ben individuati soggetti, anche non organici, che ne richiedono il sostegno; in genere in sede processuale la prova di tali accordi è di per sé non agevole e l’ulteriore necessità di provare l’utilizzo del metodo mafioso non attiene alla struttura del reato, riconducibile ai delitti di pericolo ovvero a consumazione anticipata, con il rischio di vanificare la portata applicativa della disposizione. Pertanto è in primo luogo utile l’innovazione proposta, che renderebbe meno ardua la disposizione incriminatrice e più concreto il suo carattere deterrente.

Per quanto attiene, poi, gli aspetti connessi al concorso esterno in associazione mafiosa, il citato disegno di legge interviene ritenendo opportuno che il legislatore imbocchi la strada di una tipizzazione in autonome e specifiche fattispecie incriminatrici, di tal che siano ben individuate le forme di contiguità alle associazioni mafiose realizzate da categorie di persone ad esse tradizionalmente estranee – ad esempio politici, imprenditori, pubblici funzionari – sul modello, sia pure riveduto e corretto, del predetto “reato di scambio elettorale politico mafioso”: due al riguardo possono essere – sotto il profilo al legislativo – gli interventi adottabili. Si possono estendere gli ambiti di punibilità del reato di cui all’articolo 418 codice penale ( “Assistenza agli associati”) ovvero, come proposto, si può introdurre specificamente nell’ordinamento una norma, che “tipicizzi” il concorso esterno in associazione mafiosa, e che tenda ad individuare le aree di contiguità che, al di là di interpretazioni estensive o restrittive, siano idonee ad evitare quelle difficoltà applicative fino ad oggi riscontrate, ed a tal fine, col predetto disegno di legge, si prevede l’inserimento nel codice penale di una fattispecie, intitolata 416 quater “concorso esterno in associazione mafiosa”, in virtù della quale si punisce “chiunque, eccedendo i limiti anche deontologici del corretto esercizio di un’attività politica, economica, professionale, confessionale o di qualunque altra natura ovvero abusando dei poteri o violando i doveri derivanti dall’esercizio di una delle predette attività protegge, soccorre, agevola o comunque favorisce un’associazione di tipo mafioso o singoli affiliati di tale associazione è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. Pare opportuno sottolineare che con un intervento normativo del genere si potrebbero superare le problematiche interpretative che sino a oggi hanno caratterizzato, per i procedimenti penali relativi al cosiddetto “ambito di contiguità con le associazioni criminali di tipo mafioso”, la storia giudiziaria italiana. Ben vengano, in conclusione, le iniziative volte alla semplificazione dell’attuale assetto normativo e che siano frutto di ponderata ed attenta riflessione, come si suol dire “frigido pacatoque animo”.

*L’autore è procuratore aggiunto di Agrigento


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