
La sentenza della Cassazione su Dell’Utri non mi ha stupito; da tempo – sul piano tecnico giuridico – la questione del concorso esterno (specie alla luce della sentenza Mannino) è oggetto di annoso dibattito. Iacoviello, pg della Cassazione, è un noto giurista e, al di là dei toni di cui ha riferito la stampa e che non mi interessano, non può dirsi che abbia detto cose errate.
Rispetto ai tempi dei magistrati antiterrorismo e di Falcone e del pool, che utilizzarono lo strumento del concorso in associazione mafiosa o terroristica, l’evoluzione giurisprudenziale – con i numerosi paletti introdotti nell’individuazione della condotta tipica – ha di fatto, come mi sembra sostenuto dal collega, definitivamente superato la questione concreta dell’individuazione della fattispecie.
La requisitoria del Procuratore Generale Iacoviello, piuttosto, ha riportato in piena attualità la questione relativa all’eventuale introduzione nell’ordinamento penale di una fattispecie di concorso esterno in associazione mafiosa, che costituisce il momento più delicato sul terreno dello scontro politico dottrinale dei diversi modi di intendere il contrasto al fenomeno mafioso. Diverse sono le posizioni assunte da più autori nel dibattito intorno alla punibilità della contiguità alle organizzazioni mafiose e sembra emergere una consapevolezza di fondo, da molti condivisa, circa la necessità di un intervento legislativo che possa ridimensionare il ruolo della giurisprudenza nella selezione delle condotte punibili e di ristabilire, quindi, per questa via un migliore equilibrio della divisione dei poteri tra legislativo e giudiziario. Al riguardo è pendente, alla Camera dei Deputati, un disegno di legge (C.785, Burtone + altri) che individua i settori di intervento che, probabilmente, in questa fase storica richiedono una modifica legislativa. Un primo ambito di intervento attiene alla fattispecie di cui all’articolo 416 ter del codice penale, norma che punisce lo “scambio elettorale politico mafioso”; si tratta di una disposizione introdotta nell’ordinamento penale nel 1992 ed adottata tenendo conto della realtà criminologica, in particolare del fatto che solitamente il politico viene appoggiato dalle organizzazioni mafiose in cambio della concessione di favori diversi dal denaro (ad esempio appalti, posti di lavoro, ed altro). Orbene, proprio per questo sembra necessario estendere l’oggetto della controprestazione “ad altra utilità” e non solo – come previsto attualmente – all’erogazione di somme di denaro. E, a riprova della necessità di modificare la norma in esame, deve rilevarsi che nella pratica applicazione del disposto normativo è prevalso sino ad oggi un orientamento restrittivo che richiede la necessità del metodo mafioso per la concreta realizzazione del reato di “scambio elettorale politico-mafioso”: di fatto ciò ha reso la norma in questione praticamente inutile. Se, dunque, scopo della norma di cui all’articolo 416 ter del codice penale è quello di evitare che le competizioni elettorali siano inquinate dall’azione delle organizzazioni mafiose, le quali (anche solo potenzialmente) impegnandosi a favore o contro determinati candidati possono alterare la corretta dialettica democratica, anticipandosi – come prevede il disegno di legge – la soglia di punibilità al semplice accordo tra il candidato e l’associazione mafiosa, che riceve dal primo denaro od altra utilità in cambio della promessa di voti, si previene o meglio si cerca di prevenire l’intervento dell’ organizzazione criminale sul terreno concreto del reale indirizzo del consenso verso ben individuati soggetti, anche non organici, che ne richiedono il sostegno; in genere in sede processuale la prova di tali accordi è di per sé non agevole e l’ulteriore necessità di provare l’utilizzo del metodo mafioso non attiene alla struttura del reato, riconducibile ai delitti di pericolo ovvero a consumazione anticipata, con il rischio di vanificare la portata applicativa della disposizione. Pertanto è in primo luogo utile l’innovazione proposta, che renderebbe meno ardua la disposizione incriminatrice e più concreto il suo carattere deterrente.
Per quanto attiene, poi, gli aspetti connessi al concorso esterno in associazione mafiosa, il citato disegno di legge interviene ritenendo opportuno che il legislatore imbocchi la strada di una tipizzazione in autonome e specifiche fattispecie incriminatrici, di tal che siano ben individuate le forme di contiguità alle associazioni mafiose realizzate da categorie di persone ad esse tradizionalmente estranee – ad esempio politici, imprenditori, pubblici funzionari – sul modello, sia pure riveduto e corretto, del predetto “reato di scambio elettorale politico mafioso”: due al riguardo possono essere – sotto il profilo al legislativo – gli interventi adottabili. Si possono estendere gli ambiti di punibilità del reato di cui all’articolo 418 codice penale ( “Assistenza agli associati”) ovvero, come proposto, si può introdurre specificamente nell’ordinamento una norma, che “tipicizzi” il concorso esterno in associazione mafiosa, e che tenda ad individuare le aree di contiguità che, al di là di interpretazioni estensive o restrittive, siano idonee ad evitare quelle difficoltà applicative fino ad oggi riscontrate, ed a tal fine, col predetto disegno di legge, si prevede l’inserimento nel codice penale di una fattispecie, intitolata 416 quater “concorso esterno in associazione mafiosa”, in virtù della quale si punisce “chiunque, eccedendo i limiti anche deontologici del corretto esercizio di un’attività politica, economica, professionale, confessionale o di qualunque altra natura ovvero abusando dei poteri o violando i doveri derivanti dall’esercizio di una delle predette attività protegge, soccorre, agevola o comunque favorisce un’associazione di tipo mafioso o singoli affiliati di tale associazione è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. Pare opportuno sottolineare che con un intervento normativo del genere si potrebbero superare le problematiche interpretative che sino a oggi hanno caratterizzato, per i procedimenti penali relativi al cosiddetto “ambito di contiguità con le associazioni criminali di tipo mafioso”, la storia giudiziaria italiana. Ben vengano, in conclusione, le iniziative volte alla semplificazione dell’attuale assetto normativo e che siano frutto di ponderata ed attenta riflessione, come si suol dire “frigido pacatoque animo”.
*L’autore è procuratore aggiunto di Agrigento
Complimenti all’autore e grazie a Live per avere pubblicato l’articolo. Mi pare un modo serio di affrontare la questione.
Le conclusioni del Pg Iacoviello:
“L’annullamento con rinvio per vizio di motivazione non vuol dire che l’imputato è innocente.
Vuol dire che la motivazione è viziata, non che la decisione sia sbagliata.
E’ un annullamento fatto non a favore dell’imputato.
Ma a favore del diritto”.
Erano mesi che Live non ospitava lo scritto di un Signor Magistrato.
Aria di montagna.
sembra amaro da digerire, ma ciò che afferma il proc.fonzo è assolutamente
ineccepibile
Certo, se parla questo Fonzo è un signor Magistrato (con la maiuscola), se parla Ingroia fa politica e deve intervenire il CSM per punirlo !!!!!!!!!
Nelle requisitorie di Iacoviello ci sono lezioni di alta giurisdizione,
nelle requisitorie di Falcone e Borsellino c’erano soltanto il rabattarsi dell’emergenza !
Per non parlare di quelle di Ingroia ovviamente frutto squilibrato della sua strana(????)partigianeria per la Costituzione della Repubblica !
Forse se andassimo tutti a zappare la terra ci faremmo sicuramente più figura !
Mi auguro che Fonzo torni presto a Catania, gli unici processi oggi arrivati a sentenza portano la sua firma. Adesso i pm pensano solo ad archiviare le indagini a carico di determinati imputati
Complimenti dott. Fonzo
A Kalogero
“Forse se andassimo tutti a zappare la terra ci faremmo sicuramente più figura”
Sono d’accordo. Cominci lei. Vada avanti.
A Ipazia. Importante che mi segua Lei e i suoi amici che aver compagni al duolo è un gran consolo ! Poi se ha tempo per informarsi vada a cercare tutte le precedenti requisitorie di Iacoviello in Cassazione.
Le do qualche imput: processo Andreotti, processo Imi-Sir, processo Mannino, processo De Gennaro ecc… mai una parola pro condanna degli imputati e, quindi, sempre pronto a chiedere di cassare, annullare con rinvio, criticare le sentenze di merito.
Un PG a senso unico che ha fatto il paio con il presidente della V sezione che ha giudicato il processo Dell’Utri, due esponenti di spicco non certo dell’alta giurisdizione di legittimità ma della giurisdizione votata alla politica politicante che tanto vi fa specie quando credete di riscontrarla nei pm e nei giudici palermitani.
L’articolo del procuratore Fonzo è giuridicamente e culturalmente ineccepibile. Se non viene, infatti, introdotto nel nostro ordinamento giuridico il reato di concorso esterno, tipicizzandolo,ovvero se non si tipicizzano ulteriormente talune ipotesi di favoreggiamento con l’aggravante di favorire la mafia, molti processi che ancora oggi si basano sul semplice combinato disposto di cui agli artt. 110 e 416 bis del codice penale, finiranno sempre col concludersi con assoluzioni.
Il caso Cuffaro è sintomatico: se la Procura avesse insistito nel chiedere la condanna di Cuffaro per concorso esterno ( cioè per un reato non previsto esplicitamente dal Codice) e il GUP invece non lo avesse rinviato a giudizio per favoreggiamento, lo stesso sarebbe stato assolto ed oggi sarebbe un uomo libero; l’avere, invece, modificato il capo di imputazione in favoreggiamento aggravato, ha reso possibile la sentenza di condanna, confermata dalla Suprema Corte.
Quando poi la Procura di Palermo, successivamente alla condanna per favoreggiamento aggravato, ha insistito nel rinviare a giudizio Cuffaro per concorso esterno, il GUP di Palermo ha disposto il non luogo a procedere, giacchè, per i medesimi fatti, Cuffaro era stato già condannato in via definitiva per favoreggiamento aggravato ( ne bis in idem).
a questo punto, io penso una cosa: quando la Magistratura intende realmente punire un contiguo alla mafia, contesta l’esatto reato di favoreggiamento aggravato, previsto e tipizzato dal nostro Codice; quando, invece, vuole solo “babbiare” o perder tempo, forse anche per favorire l’indagato, gli contesta (l’inesistente) reato di concorso esterno che non comporta alcuna condanna.
Ottimo quadro quello dipinto da Kalogero, che crede di essere seduto sulle scalinate della curva sud, quella dove “operano” gli ultras al seguito delle squadre.
Peccato che ii valori in ballo siano totalmente diversi.
In ballo vi è un valore irrinunciabile e insostituibile che si chiama libertà.
Libertà di pensiero innanzitutto, non pensiero unico omologato, ma sempre nell’ambito del dettato costituzionale.
Una Costituzione con la C maiuscola, che per quanto anziana, forse inadeguata, ma vivaiddio esistente, segna la linea di confine tra la democrazia e il mondo totalitario.
Una Costituzione sempre strattonata e invocata a proprio uso e consumo, soprattutto dai “soci” di Kalogero, che mentre alzano il libretto rosso (chissà perchè) statutario stracciano le sue pagine scomode, affinchè possa trasparire solo ciò della costituzione fa comodo e viene utilizzato quale strumento di lotta politica.
Peccato che nello stesso “libercolo” si faccia abbondantemente cenno ad un ordinamento che prevede tre gradi di giudizio, ultimo dei quali è proprio la “Cassazione”, dove confluiscono non uomini qualunque o provenienti dal pianeta “papalla”, ma fior di magistrati che si sono spesi negli anni precedenti delle loro carriere in tutti i ruoli del giudizio penale, prtobabilmente hanno giudicato migliaia di persone, inflitto sentenze pesanti, ed infine sono approdati ad un ruolo “supremo” nell’ambito del diritto.
Un ruolo appunto, che gli consente di confermare, rinviare, cassare appunto giudizi espressi da collegi giudicanti, ma che “traballano” in punta di diritto.
Quella stessa punta di diritto che segna lo spartiacque tra i popoli civili e civilmente organizzati dalle subculture tribali o ditattoriali, dove il giudizio viene stabilito “a mente di potere”, che si abbiano prove di colpevolezza o no, che vi siano elementi probatori o no, in una sorta di grottesca piece teatrale dove il finale è già scontato.
E’ scritto lì, nella Costituzione della Repubblica Italiana. Appunto.
E chi non vi si rispecchia totalmente rifugge dall’appellativo di “democratico”. Nella buona e nella cattiva sorte, quando conviene e quando non conviene.
Questa volta la Cassazione si è pronunciata tra l’altro rinviando il tutto ad un’altra sezione giudicante perchè risistemi i “cocci” di un processo portato avanti probabilmente non osservando appieno quanto giurisprudenza detta e stabilisce.
Non una assoluzione quindi, ma un rinvio con un severo monito a rispettare in maniera più rigorosa ciò che il dettato costituzionale impone, per tutti, amici e nemici.
Io da democratico ne sono fiero che esistano ancora di questi atti.
Guai se si giudicasse per simpatia o per antipatia, in una sorta di tifoseria giudiziaria che nulla ha a che vedere con un mondo civile, alla quale tifoseria il Kalogero sembra appartenere, anzi di sicuro appartiene.
La curva sud giudiziaria che vorrebe plausi e feste, magari la presenza impalpabile delle “tricoteuses” a sferruzzare mentre la corte declama la propria decisione, come ai tempi di Robespierre.
E come quando la condanna tocca il nemico giurato, e prevale la logica del non proferire parola critica sulla decisione, così si farebbe bene ad astenersi dal commentare le sentenze in cui il proprio astio politico viene messo a dura prova dal prevalere del “diritto”.
Silenzio quindi si pretende, silenzio si deve osservare in senso contrario.
In un mondo civile e democratico usa così.
In un mondo fazioso e “partigiano” (con tutto il rispetto per chi dietro quell’appellativo ha lotato per la libertà) , probabilmente no.
Lei , Kalogero , da che parte sta ?
Dalla parte del diritto o tifa solo per la sua “contrada” ?????
il mio pensiero va a quanti, tanti, hanno sofferto per questo reato “inesistente” e sono poi stati assolti, rovinati per sempre ma assolti