Riina dal carcere parla in codice: | "Andreottiano da sempre" - Live Sicilia

Riina dal carcere parla in codice: | “Andreottiano da sempre”

Totò Riina

Il boss parla con gli agenti penitenziari del carcere di Opera e le sue parole finiscono in una relazione che viene depositata agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia.

Nuovi sviluppi
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PALERMO – “Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me”. “A me mi ha fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono i carabinieri”. Il boss Totò Riina è diventato “improvvisamente” loquace. Dopo anni di silenzio e “riservatezza” si lascia andare a confidenze e commenti con gli agenti del Gom, il gruppo speciale della polizia penitenziaria che si occupa della gestione dei detenuti eccellenti. Gli agenti hanno raccolto le sue parole in una relazione di servizio spedita ad Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia. Perché è al presunto patto scellerato che il capo dei capi ha fatto esplicito riferimento mentre stava per essere trasferito dalla sua cella alla saletta delle videoconferenze per assistere al processo.

E sono parole che finiscono per confermare l’impianto accusatorio della Procura che punta a dimostrare l’esistenza del dialogo – la trattativa appunto – avviata nel giugno del 1992 da alcuni ufficiali del Ros con l’ex sindaco di Palermo, don Vito Ciancimino. E non solo: il riferimento a Provenzano e Ciancimino fa il paio con quanto ha sempre dichiarato Massimo Ciancimino. E cioè, che furono il padre e il padrino di Corleone a tradire Totò Riina. Alle 7 e 45 del 21 maggio scorso gli genti penitenziari entrano nella cella del boss nel carcere di Milano Opera. Accompagnano l’infermiera di turno che gli deve somministrare la terapia. “Appuntato ha visto, sono ancora un orologio svizzero anche se mi sono fatto vecchio”, dice Riina, stranamente disponibile a parlare. “Ma quale vecchio, la vedo in piena forma, sembra un giovanotto”, risponde l’agente. E il padrino: “No appuntato sono vecchio mi sto asciugando”.

Il tono è confidenziale. Ed è una confidenza, infatti, quella che l’agente raccoglie dal capo di Cosa nostra su Giulio Andreotti: “Il Riina per nulla indispettito – si legge nella relazione di servizio – ma con modi sprezzanti rispondeva: ‘Appuntato, lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso solo dire che era un galantuomo e che io sono stato dell’area andreottiana da sempre”. Alle 14 e 45 un altro agente accompagna Riina nella saletta da cui assisterà in video conferenza al processo sulla trattativa. Durante una pausa, Riina gli si avvicina: “Appuntato ha visto quante persone hanno chiamato a testimoniare per il processo Stato-mafia? Vogliono chiamare circa 130 persone le pare giusto quello che stanno facendo, mi vogliono condannare per forza, mi stanno mettendo sotto pressione a me e alla mia famiglia facendo pure perizie calligrafiche dei mie figli, io di questo papello non so niente, non l’ho mai visto la vera mafia in Italia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro, loro scaricano ogni responsabilità sui mafiosi, la mafia quando inizia una cosa la porta a termine assumendosi tutte le responsabilità, io sto bene mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura”.

Riina rincara la dose: “Io sono stato latitante 25 anni in campagna senza che nessuno mi cercasse come è che sono responsabile di tutte queste cose? Nella strage di Capaci mi hanno condannato con la motivazione che essendo il capo di Cosa nostra non potevo non sapere come è stato ucciso il giudice Falcone, lei mi vede a me a confezionare la bomba di Falcone?”. Riina prosegue nel suo racconto che l’agente annota nella relazione di servizio: “Riina affermava che Brusca non aveva fatto tutto da solo e che lì c’era la mano dei servizi segreti, la stessa cosa vale anche per l’agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, ha visto cosa hanno fatto? Perché non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno dire a chi ha consegnato l’agenda? In via D’Amelio c’erano i servizi che si trovano a castello Utveggio e che dopo 5 minuti dall’attentato sono scomparsi ma subito si sono andati a prendere la borsa.”. “Inoltre sussurrava – prosegue la relazione – ‘che erano venuti dei magistrati di Caltanissetta e gli avevano fatto vedere delle fotografie chiedendogli se li conosceva ma lui diceva loro chi sono? E i magistrati rispondevano sono dei servizi segreti. Al che lui ribatteva se io l’avessi conosciuti non mi chiamerei Totò Riina”.

Poi la frase: “Io con la magistratura non ci parlo e non voglio avere a che fare con loro è inutile che vengano qua non ho niente da dirgli, se vuole se lei si siede a lei quattro cose gli racconto”. A fine udienza mentre l’agente lo riaccompagna in cella Riina aggiunge l’ultima frase : “.. a me mi ha fatto arrestare Provenzano e Ciancimino e non come dicono i carabinieri… io glielo dicevo sempre a Binnu di non mettersi con Ciancimino”.

 


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