L'uomo che volle farsi Grillo - Live Sicilia

L’uomo che volle farsi Grillo

Eppure avrebbe dovuto saperlo, il senatore Francesco Campanella. E avrebbero dovuto saperlo tutti i dissidenti. Il grillismo appartiene a Grillo.

Il dissidente Campanella
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Perché il senatore grillino Francesco Campanella – siciliano onesto e idealista, con un robusto retroterra di sinistra – ha sbagliato? Quale è stato l’errore capitale della sua finora breve esperienza politica? Un difetto di vista, probabilmente. L’identica miopia è rintracciabile in coloro che, pur animati da nobili propositi, sono andati a cozzare contro il demiurgo a cinque stelle. Campanella ha creduto di essere Grillo. E’ l’uomo che volle farsi Beppe. Ha pensato di potere orientare il meglio del M5S, lasciando a terra le scorie. Il tentativo è fallito.

Per spiegare meglio, si rende necessario il passo indietro dei romanzi d’appendice. Chi è, chi era, il barbuto (con qualche ripensamento) senatore Campanella? Quando ancora non indossava panni istituzionali tanto importanti e non aveva scoperto la barba a intermittenza, Franco Campanella era un militante del Pds, poi Ds, della sezione ‘San Lorenzo Colli’ di Palermo. Uno bravo, pronto a metterci la faccia, in grado di fornire spunti intelligenti con i suoi interventi appassionati nelle assemblee. La sezione ‘Concetto Marchesi’ era alloggiata in una sorta di basso in via Maltese, nella zona povera della città, oltre viale Strasburgo. Di qua palazzi residenziali, di là catapecchie. In mezzo il vialone trafficato a sancire l’apartheid.

Franco ci credeva. Credeva nella sinistra riformista. Purtroppo si accorse presto di un fatto decisivo: l’opinione della base non arrivava mai ai piani alti. I militanti discutevano, analizzavano, ponderavano? Tutto inutile. Quattro eminenze grigie al bar avrebbero deciso la linea. In questa breve parabola si legge la cronaca della fortuna del grillismo e della rovina del contesto. La storia di una persona perbene che sceglie un cammino per impegnarsi, finché comprende di non avere voce in capitolo, di rappresentare una mera coreografia del gioco democratico. I partiti (specialmente a sinistra) e i satrapi che li hanno governati dovrebbero recitare il mea culpa.

Campanella, indispettito, si imbarcò sulla nave corsara di Beppe Grillo. Chi lo conosce sa che scelse per idealismo, non per tornaconto. Ricominciò a diffondere le sue parole cariche di passione nei luoghi della nuova partecipazione. ciò che venne dopo è noto: l’elezione a senatore della Repubblica, una critica via via più marcata alle mosse del Movimento, lo scontro frontale, la cacciata e l’inevitabile delusione dei dissidenti grillini di cui il senatore siciliano è una delle bandiere più in vista. Una diaspora prevedibile nata dall’errore iniziale. I reprobi non hanno visto ciò che risultava visibilissimo. Il grillismo è di Beppe Grillo. Gli appartiene. Non si lascia modificare dall’interno. Non accetta un reale pensiero alternativo. Considera gli accenti diversi dal verbo alla stregua di effrazioni da sanzionare al massimo grado. Perché il grillismo è una religione.

Non resta che ragionarci su e riflettere sulla morale amara. Ci misuriamo con partiti tradizionali che fingono democrazia, per garantire un’oligarchia o con creature presunte originali che ammettono il dibattito, solo quando i clic non danno fastidio al manovratore. Ecco perché Franco o Francesco – e con lui tutti gli uomini di fede – incarna la maschera tipica della delusione nella risaputa commedia dell’arte. L’Eternamente Sconfitto. Il malinconico reduce di un’altra rivoluzione tradita.

 


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