Cambria, bancomat dei Cappello |"Autorizzato da Ianu Carateddu" - Live Sicilia

Cambria, bancomat dei Cappello |”Autorizzato da Ianu Carateddu”

I retroscena del blitz Family (LEGGI). Le intercettazioni e i verbali del pentito Domenico Querulo.

L'inchiesta
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CATANIA – Andrea Cambria sarebbe stato un uomo senza scrupoli che poteva contare sulla copertura garantita da Santo Strano, facci i palemmu, boss dei Cappello, per i suoi affari di droga a San Cristoforo e Zia Lisa. Questo il profilo che che emerge nelle oltre 80 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal Gip Anna Maggiore dell’inchiesta Family. La retata che la settimana scorsa ha portato a decapitare un gruppo di trafficanti a gestione familiare.

La famiglia è appunto quella di Andrea Cambria che con i figli Mario Carmelo e Sebastiano, e anche la moglie Antonina Musumeci (indagata) avrebbe messo in piedi un’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti che provenivano dalla Calabria e dalla Campania. La figura di Andrea Cambria emerge già nell’indagine sulla piazza di spaccio di via Colomba (il blitz prende il nome della strada) gestito dai fratelli Crisafulli, legati secondo gli inquirenti ai Cappello. Sono 14 in totale gli indagati dell’inchiesta e non solo i nove colpiti dall’ordinanza eseguita dalla Squadra Mobile. L’inchiesta coordinata dalla pm Assunta Musella ha permesso di ricostruire l’intero organigramma del gruppo di trafficanti.

Andrea Cambria è il capo, i figli Sebastiano e Melo i “gestori” delle due piazze di spaccio, Mario Gerbino, il corriere e il collante con i fornitori di droga, Alessandro Di Benedetto, ha assunto il ruolo di Gerbino dopo il suo arresto, Orazio Conte (cognato di Andrea Cambria) ha ruoli operativi ed è posto dal Gip ai vertici del gruppo. Con il ruolo di partecipi sono inseriti Giovanni D’Angelo e Alfio Costa. Rocco Fedele, indagato e non colpito dall’ordinanza per mancanza secondo il Gip di esigenze cautelari sarebbe stato uno dei “fornitori” calabresi, Alla base della piramide anche Giovanni Floresta, Benedetto Barbagallo e Daniele Aulino. Tutti e tre sono indagati ma non sono stati arrestati.

Santo Strano è il boss che garantisce “il nome dei Cappello” al gruppo. Facci i Palemmu è una figura di spicco all’interno del clan di Turi Cappello: il suo ruolo apicale consente all’organizzazione di Cambria di operare a San Cristoforo e di poter riscuotere in modo “coattivo e tempestivo” i crediti vantati. Per la Procura di Caltanissetta Santo Strano sarebbe coinvolto nella strage di Catenanuova. La settimana scorsa è stato rinviato a giudizio dal Gup Valentina Balbo: il processo inizierà il prossimo giugno. Per quella stessa strage è stato condannato all’ergastolo (sentenza di primo grado) Giampiero Salvo: il figlio di Pippu U Carruzzieri è ritenuto uno dei “catanesi” che voleva conquistare (a livello criminale si intende) il comune ennese.

Avere una copertura mafiosa però ha un costo, per questo Cambria avrebbe garantito una parte degli introiti alla “mazzetta” dei Cappello. Vi sono diverse intercettazioni che “blindano” questo legame mafioso e la piena riferibilità delle “piazze di spaccio” alla consorteria mafiosa. Tra le tante conversazioni contenuta nei faldoni dell’inchiesta vi è una conversazione captata a novembre del 2011 tra Andrea Cambria, il cognato Orazio Conte e il “corriere” Mario Gerbino. In un primo momento Cambria e Gerbino discutono della consegna di denaro di una “somma di denaro da parte di Vito”. Inoltre Conte ad un certo punto ribadisce di essere stato autorizzato a gestire la piazza di spaccio direttamente da Sebastiano Lo Giudice (Ianu u Carateddu, capomafia della frangia mafiosa dei Cappello Carateddi attualmente detenuto al 41 bis). Tale autorizzazione però comportava il pagamento degli stipendi ai detenuti. Versamenti che dovevano essere assicurati anche in tempo di mancati guadagni. “Ti ho mandato 100 euro alla settimana a te, 100 euro a …- captano i poliziotti – e 100 euro ai detenuti, alle persone che mi hanno arrestato là….Io non lavoro e vi mando i 100 euro lo stesso”.

Cambria non ha un solo canale di rifornimento. Era una scelta – secondo gli investigatori – dettata dal fatto di non far focalizzare l’attenzione degli inquirenti. Quindi le “spedizioni” e gli “ordini” non provengono sempre dallo stesso fornitore calabrese o campano. Ad un certo punto si sarebbe rivolto anche a Domenico Querulo, trafficante catanese arrestato nel 2013 e pochi mesi dopo diventato collaboratore di giustizia. Il pentito è un profondo conoscitore (almeno fino al 2012) dei canali della cocaina con i napoletani. Per anni ha rifornito diversi clan mafiosi, tra cui anche i Nizza di Librino. Querulo racconta di una trattativa con Cambria che avrebbe portato non pochi problemi: il carico di cocaina già pagato infatti sarebbe sfumato perché il fornitore era stato colpito da un’ordinanza a Napoli e si era reso latitante. Il collaboratore di giustizia racconta che: “Si presentarono così a casa mia Cambria Andrea e Gerbino Mario i quali dissero che al prezzo di 50.000 euro avrebbero potuto acquistare sostanza stupefacente pagando in anticipo”. I due spacciatori però non avrebbero potuto andare personalmente a Napoli. Pochi giorni dopo i due avrebbero consegnato “192.000 euro per acquistare quattro chili”. “Portai io stesso questa somma a Napoli – racconta Querulo – arrivato a Qualiano inviai un messaggio per avvertire del mio arrivo”. Il fornitore però avrebbe chiesto di aspettare qualche giorno per procurare la droga. “Io gli dissi che assolutamente avrebbe dovuto procurare la sostanza ai Cambria – aggiunge il collaboratore – perché altrimenti mi avrebbero ammazzato, trattandosi del clan Cappello. Mi offrii addirittura di scendere io stesso lo stupefacente a Catania”. Attraverso un sms Querulo viene avvertito di alcuni problemi. Una volta a Napoli Querulo scopre che il fornitore è latitante e che i soldi erano stati sequestrati. “Intanto a Catania il Cambria – racconta – faceva sempre pressione per la consegna dello stupefacente che aveva pagato, tanto che per tale circostanza fu malmenato mio fratello Santi”. Arriva anche la minaccia per i napoletani: “Se non gli avesse inviato le macchine che aveva pagato si sarebbe appropriato dell’intero caseggiato in cui abitava la madre”. Qualche giorno dopo arrivano due chili di cocaina, ma ne mancavano altri due. Ci sarebbe stato un accordo per un’altra consegna che non sarebbe mai avvenuta. A Cambria sarebbe stato detto che l’altra parte della somma sarebbe servita a compensare un debito di Querulo. “Il Cambria, ovviamente, non voleva sapere niente, tanto che sono stato costretto a vendere la casa al mare di mio padre – dichiara Querulo- per consegnare al Cambria parte della somma. Poi ho fatto una ditta con mio fratello e gradualmente ho consegnato le somme al Cambria, residuano circa 16.000 euro”.

Insomma Andrea Cambria poteva contare su importanti somme di denaro per l’acquisto di droga. Una liquidità che forse la famiglia potrebbe aver conservato. Non a caso i poliziotti a casa del figlio Sebastiano sono stati trovati, durante le perquisizioni in esecuzione del blitz, 40 mila euro in contanti.


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