"Il paese dei campanelli": | un intervento sulla corruzione - Live Sicilia

“Il paese dei campanelli”: | un intervento sulla corruzione

Il punto di vista del Procuratore aggiunto della Repubblica, Francesco Puleio.

La presa di posizione
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CATANIA. Puntuale come le eruzioni dell’Etna e gli straripamenti del Tanaro, il quotidiano contatto con la realtà del lavoro e degli affari ci restituisce l’immagine di un paese corrotto, segnato da scandali e ruberie, attraversato da bande di razziatori e di sciacalli travestiti da pubblici funzionari. Fatalità sinora inovviabile: in Italia c’è la corruzione, come in campagna le cattive annate. Sessanta miliardi di euro l’anno è il costo stimato del sistema della corruzione. Secondo la Banca d’Italia, “si tratta (insieme alla criminalità mafiosa ed all’evasione fiscale) della principale causa, non solo d’illegalità, ma anche di mancata crescita del paese, introducendo elementi di distorsione del vivere quotidiano delle persone rispettose della legge e di inquinamento della società e dell’economia legale, che minano i principi (e i valori) dello Stato democratico”. E gli scandali si succedono agli scandali, le retate alle retate, senza che siano adottati provvedimenti che realmente impediscano il crescere ed il proliferare di questo cancro.

Proviamo allora a ricapitolare, per l’ennesima volta, quelle semplici modifiche che consentirebbero non dico di estirpare – impossibile pensarlo, allo stato – ma quanto meno di contenere la corruzione. Modifiche che chiunque possegga buon senso e buona fede perfettamente conosce, e numerose di proposte di legge in tal senso quietamente dormono negli archivi parlamentari, ma che inspiegabilmente, come diceva Sciascia, non si riesce a mettere in pratica.

1) Occorre modificare la disciplina dell’abuso d’ufficio patrimoniale il quale nasconde, novanta volte su cento, una corruzione non dimostrata: dall’abuso si prendeva le mosse, in passato, con intercettazioni ed altre forme di indagine, per accertare le sottostanti corruzioni e concussioni. Tutto ciò non è più consentito dal codice, e non ci si può adesso indignare a giorni alterni, facendo la faccia feroce alla delinquenza da strada e strizzando l’occhio ai potenti.

2) Occorre introdurre la figura dell’agente provocatore, che (come negli USA ed in Italia per i reati di criminalità organizzata, traffico di armi e droga, pedopornografia) avvicini il corruttibile e gli proponga un patto scellerato, all’esito del quale, se il criminale accetta, il reato si consuma ed il malandrino rimane incastrato.

3) Occorre, soprattutto, spezzare l’accordo criminoso tra il corrotto e il corruttore, introducendo una causa di non punibilità per il corruttore pentito, che denunci il pubblico ufficiale corrotto (come avviene in materia di contrasto alla mafia ed al terrorismo). Attualmente, i due sono legati da un patto che li vincola sul piano extra legale e li rende solidali nel delitto. Il soggetto che corrisponde il denaro trova il compenso del suo sacrificio economico già nell’atto illecito e, comunque, essendo punito dalla legge quale corruttore, non ha interesse alla scoperta del fatto. Per limitare la cancrena, occorre evitare che entrambi gli attori della vicenda si garantiscano l’immunità. Il codice penale, punendo con la stessa pena per lo stesso fatto tanto il corrotto quanto il corruttore, stabilisce tra i due una solidarietà resa giustificata da ragioni di reciproca difesa. L’uno, non potendo denunciare l’altro senza denunciare se stesso, può difendersi solamente difendendo l’altro. L’obbligatorietà dell’azione penale, sancita dalla Costituzione, consolida inoltre la solidarietà criminosa, impedendo al pubblico ministero ogni attività per spezzarla. Il patto criminoso diventa così un infrantumabile bozzolo con contenuto conosciuto ma irraggiungibile. Modificando la norma nel senso qui proposto, si verificherebbe che il pubblico ufficiale avrebbe molte più remore nel lasciarsi corrompere, sapendo che in tal modo si consegna nelle mani del corruttore, entrando in una gabbia senza uscita. Dal canto suo il corruttore che confessa l’avvenuta corruzione, se evita la punizione, diventa, per ciò solo, inaffidabile nel futuro per gli altri pubblici ufficiali, in tal modo ponendosi al di fuori dal circuito criminale nel quale è inserito. Se ci pensiamo bene, si tratta di un sistema assai simile a quello sperimentato con successo nei delitti di terrorismo e di mafia, con la incentivazione della collaborazione con la giustizia e la normativa di favore per i pentiti.

Non serve a nulla inasprire le sanzioni, se la legge non consente – di fatto – che i corrotti vengano perseguiti: è come preparare dei campanelli via via sempre più grossi e tintinnanti, con lo scopo di apporli al collo di un gatto, al quale nessuno ha intenzione di avvicinarsi.

Francesco Puleio – Procuratore aggiunto della Repubblica


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