La minaccia: "Ti taglio la testa" | L'ombra dell'orrore in Sicilia - Live Sicilia

La minaccia: “Ti taglio la testa” | L’ombra dell’orrore in Sicilia

Anis Amri

L'arrivo nel 2011 a Lampedusa, la detenzione in 5 carceri dell'Isola. Ecco la storia di Anis Amri. L'avvertimento del Dap.

PALERMO – L’anno è il 2013. Il carcere è quello di Agrigento. È qui che viene annotata la “radicalizzazione” nelle scheda del detenuto Anis Amri, il tunisino in fuga da Berlino. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha un gruppo investigativo con il compito di monitorare i focolai del fanatismo religioso.

L’orrore per l’attentato tedesco affonda sempre di più le radici in Sicilia. La Procura di Palermo ha aperto un’inchiesta che al momento è solo conoscitiva. Bisogna accertare le tappe siciliane e le frequentazioni, carcerarie e no, nella storia dell’uomo braccato con l’accusa di essere un terrorista islamico.

Ci sono alcuni punti fermi. Nell’aprile del 2011 il tunisino giunge su un barcone a Lampedusa. È uno dei tanti che scappano da casa, ufficialmente per cercare un futuro migliore. Dice di essere minorenne. Una bugia che gli consente di essere rispedito a casa. Infatti, viene trasferito in una comunità di Belpasso, nel Catanese. Qualche tempo dopo finisce nel carcere di Catania. Assieme ad altri ragazzi ha dato fuoco alla struttura che lo ospita. Si becca una condanna a quattro anni per lesioni, danneggiamento e violenza privata. Sconta la sua pena in giro per le carceri dell’Isola: dopo Catania, Enna, Sciacca, Agrigento e Palermo, sia a Pagliarelli che all’Ucciardone. Il carcere non lo rende migliore.

Il suo carattere resta violento. In quattro anni gli vengono contestate dodici violazioni disciplinari che gli costano 74 giorni di isolamento. Il divieto di socializzare è la massima pena per chi sta in un penitenziario. Quella riservata ai detenuti “pericolosi”. Finita di scontare la pena inizia la parte più oscura della sua presenza in Sicilia. Quella che fa emergere le lacune dell’intero sistema.

Nel maggio del 2015, tornato in libertà, viene ospitato nel centro nel Cie, Centro di identificazione ed espulsione, di Caltanissetta dove la massima permanenza è fissata in sessanta giorni. L’Italia lo vuole espellere. Il suo paese di origine non collabora. La Tunisia dovrebbe riconoscerlo e inviare i documenti. Non lo fa e allora la legge prevede il loro rilascio. E’ la legge che rende Amri un uomo definitivamente libero. Scatta la semplice “intimazione” da parte del ministero dell’Interno a lasciare il territorio italiano entro sette giorni. Il foglio di espulsione non si conclude mai con il rientro in patria. I suoi dati finiscono nel cervellone elettronico del Sis, il Sistema di informazione Schengen. Comprese le note del Dap.

In effetti Amir lascia davvero la Sicilia, visto che nel luglio del 2015 chiede asilo politico alla Germania. Nel frattempo se ne va in giro. In piena estate lo fermano a Friedrichshafen, vicino alla Svizzera. Ha in tasca un passaporto italiano falso. A Berlino completa il suo percorso di radicalizzazione, frequentando una comunità si salafiti che ha nell’imam, iracheno e fondamentalista. Abu Walaa la sua guida. Un mese fa Walaa viene arrestato con l’accusa di essere un reclutatore dell’Isis in Germania. Amir sfugge al controllo delle autorità tedesche che ne perdono le tracce.

Tracce che riemergono con prepotenza dopo al strage al mercato di Natale. C’è un documento di Amir nel Tir che ha travolto la folla, uccidendo dodici persone. E ci sono le impronte digitali sul volante. Adesso su di lui pende una taglia da cento mila euro.

Intanto a Palermo si sono mossi il procuratore Francesco Lo Voi, gli aggiunti Leonardo Agueci e Maurizio Scalia, il sostituto Calogero Ferrara che ormai da mesi si sono specializzati in materia di tratta di essere umani e terrorismo. Cosa ha fatto Amir nei pochi mesi da uomo libero a Palermo? Come si è procuratore un documento italiano falsificato? Sono solo due delle tante domande senza risposta.

Amir andava tenuto sotto controllo. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aveva segnalato al Comitato analisi strategica antiterrorismo i suoi comportamenti sospetti. Soprattutto la frequentazione da parte di Anis Amri unicamente di detenuti tunisini. Un altro detenuto dichiarò di aver subito minacce in quanto cristiano: “Ti taglio la testa”. 


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