Strage di Capaci, pentito catanese| "Non demmo armi ai palermitani" - Live Sicilia

Strage di Capaci, pentito catanese| “Non demmo armi ai palermitani”

Il processo si svolge in Corte d'assise d'appello a Caltanissetta.

PALERMO – “Una delle cose che mi allarmò è che Giovanni Peluso (un poliziotto, ndr) voleva essere coadiuvato in un attentato nei confronti di un giudice palermitano, Guarnotta. Chiese un posto dove rifugiarsi dopo l’attentato. Aveva fatto una specie di schizzo su dove si trovava l’abitazione del giudice e come intervenire”. L’ha detto il pentito Pietro Riggio deponendo in Corte d’assise d’appello a Caltanissetta nel processo di secondo grado per la strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e i i tre agenti della scorta. Riggio ha raccontato ai pm che il poliziotto Peluso gli rivelò di aver preso parte a un progetto di attentato all’ex giudice Leonardo Guarnotta e alla strage di Capaci.

“Di questo attentato – ha aggiunto – non venni a sapere più nulla. Fu proprio in questa occasione che Peluso mi parlò anche dell’attentato a Falcone. Una serie di cose che a sentirle rimasi basito. Fece un accenno a Brusca e mi parlò della modalità in cui avevano posizionato l’esplosivo. Disse che l’esplosivo era stato messo su degli skateboard mandati sul canale. Disse anche che la telefonata per avvisare dove era diretto Falcone partì dal telefono intestato all’onorevole Rudy Maira. Mi sentii raggelare perché si sapeva che erano stati Brusca e la mafia, e in quel momento capii che altre persone avevano avuto un ruolo. Capii che mi trovavo in pericolo e che ero dentro un gioco più grande di me”. “Peluso – ha aggiunto – disse che c’era anche una donna appartenente ai servizi segreti libici. Tra l’altro so che il padre della compagna di Peluso, Marianna Castro, era un appartenente ai servizi libici quando c’era Gheddafi”.

Di esplosivi non ne so nulla e non mi risulta che le famiglie catanesi abbiano fornito l’esplosivo per le stragi alle famiglie palermitane”. Lo ha detto Natale Di Raimondo, uomo della famiglia mafiosa Santapaola di Catania, chiamato a deporre come teste in Corte d’assise d’appello a Caltanissetta nel processo di secondo grado per la strage di Capaci. “Le uniche armi di cui posso parlare – ha detto – sono l’ enorme carico che arrivò dalla Jugoslavia che, per un 80 per cento furono conservate preso la casa di un catanese vicino ai Santapaola e per un altro 20 per cento distribuite in alcuni rioni della città. Ercolano seppe di questo e si arrabbiò tantissimo perché non voleva che si distribuissero in giro. C’era un bazooka e altre armi leggere, molte mitragliatrici”. “Ho conosciuto personalmente Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e Antonino Gioè. – ha proseguito – Questi ultimi li conobbi in occasione per fare una cerimonia di iniziazione per un certo Mazzei”. Oggi è stato sentito anche Marcello D’Agata che però si è avvalso della facoltà di non rispondere. La prossima udienza è fissata per il 20. In quella occasione sarà sentita la genetista Nicoletta Resta. Il 16 dicembre, invece, i giudici di Caltanissetta decideranno sull’istanza di ricusazione della corte presentata dai boss Salvatore Madonia e Vittorio Tutino. (ANSA).


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