Il bimbo, il dolore, le fate | Ma è una storia vera - Live Sicilia

Il bimbo, il dolore, le fate | Ma è una storia vera

Forse è un dramma, o forse no.

Garofalo all'occhiello
di
5 min di lettura

“C’era una volta un bimbo piccolo piccolo, che si chiamava …non si sa come! Già, perché nel nome di ognuno sta scritto il suo destino e questo bimbo pareva nato sotto una stella non benevola: le braccia e le manine dormivano sempre, anche quando lui era perfettamente sveglio; per mangiare, mamma mia, anche la bocca sembrava che volesse dormire, poiché pur avendo fame, ingoiare il cibo per lui era molto difficile. Insomma, questo bimbo era così malconcio, ma così malconcio che i suoi genitori, alla nascita, lo credettero morto. E poiché non avevano nemmeno i soldi per poterlo benedire e seppellirlo, lo stesso giorno in cui nacque lo lasciarono davanti all’ingresso della Corte dei Dotti Dottori, perché qualcuno potesse provvedere al posto loro.

La mattina dopo, una servetta gentile di nome Beniamina, che lavorava al servizio della Corte, uscendo presto per provvedere ad alcune compere, si accorse di quell’involto deposto sul ciglio del portone. Lo raccolse con molta cura e, scoprendo un lembo della copertina che lo avvolgeva, vide che un bimbo la guardava con occhi vivi e vivaci, ma smarriti! Presto lo portò dentro e lo mostrò alle altre servette, che lo accolsero con mille bacini e un milione di carezze e di coccole. Il bimbo rispondeva con ampi sorrisi, ma tutte si accorsero delle sue manine che dormivano, della sua bocca che non mangiava e che, per giunta, non ne voleva sapere di soffiare. Tutti quanti lì, a dire “soffia, soffia!”, ma lui aveva sempre il fiato corto, cortissimo: sembrava persino stanco di respirare! Così, furono proprio loro a chiamarlo, un po’ per burla ma con tanto affetto, Soffiantino-mani-di-pezza.

Per un po’ di tempo Soffiantino-mani-di-pezza fu accudito e circondato di mille attenzioni, che ricambiava con bei sorrisi. Ma di soffiare non voleva proprio saperne. Tutti lì a dire “soffia, soffia!”, ma lui, niente. E il suo fiato diventava sempre più corto. Così, pensando quanto fosse importante soffiare per un bambino come lui, con le braccine addormentate e incapace di mangiare, tutti quanti si preoccuparono moltissimo che potesse non farcela a sopravvivere. Allora fu convocato il Gran Consiglio dei Dotti Dottori, perché si potesse decidere come aiutarlo. I Dotti Dottori discussero a lungo; alla fine, con grande dolore, dissero di temere che, davvero, un bimbo così piccolo, con le manine di pezza, che non riusciva a mangiare e che di soffiare non voleva saperne, non poteva che essere accompagnato al suo ultimo viaggio.

Ma ecco che, quando tutto sembrava perduto, apparve una bella fatina, di nome Angelica, che guardando il piccolo sentenziò, con voce ferma: “questo bambino vivrà!”. Tutti si fermarono ad ascoltare, meravigliati. E lei: “…ma per vivere, dovrà indossare una pesante collana, attaccata a questa scatola…” disse, tirando fuori una scatola di metallo “…dove ci sono tutti i soffi di cui avrà bisogno, per tutta la sua vita!”. Così dicendo, mise al collo del piccolo la collana, collegata a quella scatola. Il piccolo, così conciato, riprese a soffiare, soffiare, soffiare. Soffiò sulle coltri del suo lettino, poi sulle sue manine di pezza, poi in faccia a tutti quelli che gli si avvicinavano, facendoli ridere. E così, sotto gli occhi di tante persone che lo avevano accolto, temendo e sperando per lui, Soffiantino-mani-di-pezza mostrò a tutti la sua forza e la grande voglia di resistere.

E vissero…” …felici e contenti? I finali delle fiabe si assomigliano un po’ tutti, nella celebrazione di un lieto fine. Ma questa è una storia vera, non una fiaba, e si sa, le storie vere sono un po’ più complicate. La storia di un abbandono, seguito da un’accoglienza. La storia vera di un bimbo sfortunato, affetto alla nascita da una gravissima condizione di disagio, che ha inizialmente fatto intendere che la sua fragilità non potesse dargli molto spazio per vivere, rendendo inutile qualsiasi tentativo di sostegno terapeutico.

Un bimbo che poi, però, ha dato forti segnali di resistenza, mettendo in crisi un intero reparto. Qui, infatti, ci si è trovati davanti ad un bivio: assicurargli una sopravvivenza precaria, sostenuta da una macchina per la ventilazione assistita per tutta la vita, oppure la rinuncia a tutto questo, con il solo accompagnamento ad un destino finale, imminente. Un bianco o un nero, senza zone grigie di compromesso.

Le analisi più attente e competenti rischiavano di propendere per strade non unanimi; si era certi che qualunque scelta avrebbe determinato la soddisfazione di una parte e lo sconforto di un’altra, tra tutti gli attori della vicenda e persino nel cuore di ognuno di essi.

Che fare? A quel punto, il bimbo ha colpito duro, con il suo sorriso. E la scelta fra vita e morte, quando l’hai fra le mani, quando ti trovi sulla frontiera delle decisioni, ti pone davanti il mistero stesso della vita: quella che non sai se vale più quando è privata dei suoi attributi di normalità, o se vale ancora quando ti mostra un sorriso. E ci si ritrova come i pastori davanti alla grotta di Betlemme, in preda al dubbio se si trovassero davanti alla massima espressione della povertà umana, o davanti alla massima espressione della regalità. Un bianco o nero da lasciare attoniti.

Anche davanti a questo bambino, nato 2019 anni dopo, l’interrogativo sul mistero della vita appare intatto, e ci troviamo sfidati, ancora una volta, tra la nostra razionale propensione a non procurare ulteriori sofferenze ad un soggetto già tanto segnato, e l’incanto di raccontare ancora una volta la scelta dell’accoglienza, lo sguardo su una vita quando sembra che non sia vivibile, la meraviglia di un dono ricevuto e abbracciato, … e sembrava impossibile! Bianco o nero, da lasciare attoniti. Davanti a quel sorriso la scelta è venuta da sé e il bimbo è ancora con noi, sostenuto artificialmente. Forse il consumarsi di un dramma, o forse la più bella storia di Natale.


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