"Ci chiamavano esagerati..." | Sergio, palermitano in America - Live Sicilia

“Ci chiamavano esagerati…” | Sergio, palermitano in America

I controlli all'aeroporto di New York, quasi deserto (Foto di Sergio Ganci)

Differenze culturali, burocrazia e 'guerra della carta igienica': una finestra siciliana sugli Usa

CORONAVIRUS
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PALERMO – Sergio Ganci, palermitano di 34 anni, ha appena iniziato la quarantena volontaria di 14 giorni dopo essere rientrato dalla Florida. Il coronavirus ha interrotto bruscamente la sua avventura a stelle e strisce, ma gli ha anche dato modo di osservare con occhi siciliani lemergenza americana. Come tanti altri siciliani, Ganci aveva un visto turistico di 90 giorni ed era ospite di alcuni familiari, in un paese fra Miami e Orlando: “Il visto mi permetteva di restare fino al 27 aprile ma sicuramente sarebbe stato prolungato – spiega – perché nel frattempo ero stato ammesso a un corso di formazione professionale. Poi il virus ha bloccato tutto”. Così Sergio è tornato a casa, ma non senza difficoltà e non prima di calarsi anche lui nella tesissima atmosfera che avvolge gli Stati Uniti.

“All’inizio dicevano che noi italiani eravamo esagerati”, racconta, “anche se amici di famiglia che conoscono le dinamiche amministrative ci dicevano che gli Usa erano palesemente in ritardo e avrebbero pagato caro”. Uno degli incidenti di percorso, per esempio, sarebbe l’aspetto dei tamponi: “Fino alla fine di marzo un tampone costava circa 3.500 dollari ‘cash’ – sottolinea Sergio – e sarebbe stato gratis solo in caso di esito positivo. Poi le disposizioni sono cambiate, ma le procedure sono comunque complicate perché si deve andare in farmacia a descrivere i sintomi e poi la farmacia deve farsi autorizzare dalle autorità”.

Secondo il 34enne, gli americani hanno capito la gravità della situazione solo quando sono arrivati certi segnali per loro inequivocabili: “per esempio quando i supermercati hanno ridotto gli orari, soprattutto quelli che fanno 24 ore su 24 di apertura che per loro sono quasi un’istituzione”. Evento al quale, subito dopo, ha fatto seguito l’ormai famosa ‘guerra della carta igienica’: “Proprio così, quella e il pane sono state le prime cose a diventare introvabili. La gente prendeva anche quindici confezioni di carta igienica l’uno e litigava per averla. Questa cosa faceva venire l’angoscia”. Per un italiano e siciliano già consapevole della minaccia incombente, lo sconforto era ancor più forte “per il fatto che il trattamento dei pazienti ospedalizzati fosse abbastanza confuso. In pratica, non si riusciva a capire definitivamente se volessero davvero curare l’epidemia da Covid-19 o no”.

Ansia e preoccupazione nei primi giorni, ma anche grande rispetto delle regole una volta compresi gli enormi rischi. “Negli ultimi giorni di permanenza ho notato che le disposizioni delle autorità venivano seguite tassativamente: distanziamento sociale ferreo ovunque, dai piccoli negozi al centro commerciale Walmart, dove l’entrata principale è stata transennata e bisogna seguire un percorso obbligato stando a 6 piedi (circa un metro e 82, ndr) gli uni dagli altri. Ormai fortunatamente il pericolo coronavirus è molto chiaro nell’intera Florida – osserva Sergio – dove il lockdown è iniziato giovedì scorso e c’è anche il coprifuoco da mezzanotte alle 5 di mattina. Per le strade non trovi davvero nessuno”.

Il ritorno in Italia è stato un insieme di cortocircuiti burocratici e senso di abbandono. “In prossimità della scadenza del visto, ho fatto presente al Consolato che essendo ospite di parenti avrei potuto anche posticipare il rientro – afferma Ganci – ma sono stato rimandato all’apposito sito del centro immigrazione, che però è stato chiuso fino a oltre la data utile. L’ho fatto presente al Consolato e mi è stato risposto che allora potevo solo rientrare in Italia. Solo questo, nessun aiuto o consiglio”. Polemiche anche sui voli speciali per il rientro degli italiani dagli Stati Uniti: “Li gestisce una sola compagnia e partono solo da New York, quindi da Miami mi sono spostato a Orlando, poi ho preso un aereo per New York, poi uno per Roma e infine quello per arrivare a Palermo. Da un certo punto in poi, voli come il mio sono arrivati a costare anche 1.400 euro. Come si fa a spendere oltre mille euro senza garanzie o direttive delle istituzioni? E chi sta vigilando sui prezzi?”.

Al rientro Ganci ha seguito la procedura di censimento per chi è tornato in Sicilia dopo il 14 marzo, e al termine della quarantena gli toccherà fare il tampone. “Al momento non c’è nulla di certo o organizzato se non che ci sono ‘lunghi tempi di attesa’ – spiega – come mi ha scritto il Dipartimento di prevenzione in una mail”. In ogni caso, però, preferisce il ‘caos ordinato’ della Regione Siciliana al clima surreale che regnava negli Usa prima del brutale scoppio dell’emergenza: “Nonostante alcuni politici cercassero di parlarne il più possibile, le dichiarazioni di Trump andavano in tutt’altra direzione – commenta –. È passato dal ripetere che sono i numeri uno al mondo, a parlare di miracolo se fossero riusciti a non superare i centomila morti. La percezione è che sì, c’è il pericolo, ma non è così grave finché l’economia gira e ci sono i soldi. Fino a poco tempo fa, fin troppo poco per reagire, sembrava quasi che di tutta questa situazione non facesse paura la morte ma il blocco dei guadagni”.


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