Mafia, boss fuori dal carcere |Falcone e Antoci: "Preoccupati" - Live Sicilia

Mafia, boss fuori dal carcere |Falcone e Antoci: “Preoccupati”

Le parole della sorella del magistrato ucciso a Capaci e dell'ex presidente del Parco dei Nebrodi

Coronavirus
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PALERMO – “È grande la preoccupazione che l’emergenza coronavirus possa essere sfruttata dai boss per uscire dal carcere e vedere commutata la loro condanna in detenzione domiciliare. Ovviamente non è in discussione la libertà dei magistrati di sorveglianza di prendere le loro decisioni, sicuramente sempre dettate dal rispetto delle norme e della civiltà giuridica. Il timore è piuttosto che a rendersi complici dei criminali siano le inefficienze burocratiche e il mancato coordinamento tra i centri decisionali. Inefficienze che potrebbero avere conseguenze gravi non solo nei casi dei capi mafia al carcere duro ma anche per i detenuti mafiosi in alta sicurezza. Se ci sono falle nel sistema, vanno immediatamente trovati i rimedi”. Lo dice Maria Falcone, presidente della Fondazione Giovanni Falcone, intervenendo sulle recenti scarcerazioni di detenuti per reati di mafia. “Considerato che il sistema carcerario ha le strutture idonee ad assicurare cure efficaci per tutti i detenuti, – aggiunge – comunque non si può consentire che, sia pure involontariamente, venga vanificato il 41/bis, che è stata e resta la misura più efficace per evitare che i boss continuino a tenere dal carcere le leve del comando dei clan. Sul fronte della lotta alle mafie – conclude – non sono tollerabili pressapochismi e inefficienze”.

Antoci: “Le nostre preoccupazioni erano fondate”

“Le nostre preoccupazioni erano fondate – così Giuseppe Antoci Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto ed ex Presidente del Parco dei Nebrodi, vittima nel 2016 di un gravissimo attentato mafioso sventato dalla scorta della Polizia di Stato. “I boss mafiosi vogliono approfittare delle maglie aperte dalle necessità sanitarie dovute alla diffusione del Covid-19 e dunque tornare facilmente fuori dalle carceri e – continua Antoci – risulta inaccettabile che persone che hanno compiuto reati tremendi possano ritornare a casa”. Sono stati tanti, ricorda Antoci nella sua nota, gli interventi di autorevoli magistrati che hanno posto in maniera forte il tema fra i quali: Sirignano, Tartaglia, Di Matteo, Gratteri e Maresca, questi ultimi anche minacciati da componenti di famiglie mafiose che, con sfrontatezza, li hanno insultati sui social. Ma il rischio di infiltrazioni mafiose, dovute all’ingente quantità di denaro che sarà immessa nel Paese, è stato anche palesato, sottolinea Antoci, in alcuni recenti interventi dei magistrati Maurizio De Lucia, Dino Petralia e Lia Sava che, unitamente al Procuratore Nazionale Antimafia Cafiero De Raho, hanno avvertito dei rischi che ne possono derivare.

“E’ necessario essere chiari – aggiunge Antoci. Anche nel nostro ordinamento Penitenziario è stato sancito, il meccanismo del “doppio binario” che consente di mantenere un equilibrato rapporto tra l’esigenza del massimo rigore nella lotta alle mafie e, nel contempo, di garantire ai detenuti comuni maggiori opportunità d’inserimento. Ma il DAP, nelle sue circolari, ha l’obbligo di distinguere tra capi mafia e detenuti comuni”. Nel Codice Penitenziario – continua Antoci – vige infatti il 4 bis che esclude l’automatismo a favore dei detenuti che si sono macchiati di reati gravissimi come quelli legati al 416 bis o detenuti nel regime severo del 41 bis. Nel prossimo Decreto Legge è opportuno che il Governo e il Parlamento chiariscano che per prevenire il Coronavirus nelle carceri i boss mafiosi non possono però scontare la pena nelle loro case. I mafiosi – aggiunge Antoci – vanno mantenuti e semmai curati dentro i circuiti penitenziari. Mentre per i detenuti comuni si possono prevedere ulteriori meccanismi di detenzione domiciliare, organizzando al meglio il controllo e la sicurezza a distanza attraverso anche l’uso di braccialetti elettronici”. “Rischio di contagio da coronavirus? – continua Antoci – E del rischio che stanno correndo tanti uomini e donne nelle Forze dell’Ordine, nell’Esercito e nella Polizia Penitenziaria o ai tanti che sono in prima linea nei settori necessari al Paese, che diciamo? Anche alcuni di loro hanno patologie che potrebbero comportare rischi maggiori in caso di contagio, eppure sono per strada o nei loro posti di lavoro”. “Ho ascoltato il grido di dolore di Tina e Giovanni Montinaro, familiari di Antonio Montinaro capo scorta di Falcone e ucciso nella strage di Capaci, che commentando le scarcerazioni ne hanno evidenziato la grande sofferenza. Ecco, ascoltando Giovanni, rifletto su cosa avrebbero potuto pensare le mie figlie vedendo queste scarcerazioni, se quella notte io e gli uomini della mia scorta fossimo stati uccisi dalla mafia. Sono certo che avrebbero provato, anche loro, un profondo sentimento di solitudine” – conclude Antoci .


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