Cosa nostra, sangue e potere |Le intercettazioni della guerra - Live Sicilia

Cosa nostra, sangue e potere |Le intercettazioni della guerra

I defunti Pippo Ercolano e Alfio Mirabile, e infine Nino Santapaola
Il Ros nel 2004 ha piazzato le microspie al Pagliarelli di Palermo. Le conversazioni sono finite nell'inchiesta Dakar.

CATANIA – Doveva essere una strage. Ma gli arresti hanno fermato l’emorragia di sangue che si è aperta il pomeriggio del 24 aprile 2004. Uno degli uomini d’onore più potenti di quel periodo (a piede libero) è stato colpito da diverse pistolettate sotto casa, mentre stava facendo manovra con l’auto. Hanno tentato di ammazzare Alfio Mirabile, il delfino di Nino Santapaola, il ponte di collegamento con Cicco La Rocca di Caltagirone. È stata dichiarata guerra. Non una semplice battaglia tra clan rivali, ma una faida interna tra i Santapaola e i potenti Ercolano. In ballo il potere mafioso sulla città.

Da quell’attentato (fallito) sono scaturiti altri omicidi, due di questi (il delitto di Salvatore Di Pasquale del 29 aprile 2004 e quello di Michele Costanzo del 3 maggio 2004) sono stati al centro di un recente blitz del Ros e dei Carabinieri del Comando Provinciale di Catania che ha portato in galera mandanti e killer di Cosa nostra. Ma è nelle carte dell’inchiesta Dakar, coordinata dal pm Rocco Liguori, che la gip Simona Ragazzi ha riportato indietro le lancette dell’orologio e ha ripercorso, intercettazione dopo intercettazione, quella ‘calda’ primavera del 2004. L’informativa del Ros che ha costituito il pilastro del processo Dionisio è il pezzo essenziale per fotografare quella maledetta pagina di storia criminale di Catania. Alfio Mirabile è morto nel 2011 nel letto di una clinica, dopo anni in una sedia a rotelle. 

Non è stato il primo attentato a cui Mirabile è scampato quello del 2004. Già un anno prima sarebbe uscito indenne da un agguato. È lo stesso boss a raccontarlo a Francesco La Rocca. Da quello che è emerso dalle analisi delle conversazioni captate dalle microspie del Ros a ordinare quell’omicidio sarebbe stato Mario Ercolano, in quel preciso momento storico ‘il capo della corrente’ della famiglia catanese di Cosa nostra. Mirabile non è rimasto certo a guardare.

La vendetta è stata preparata: si dovevano uccidere Piero Crisafulli, capo del gruppo di Lineri (e nipote di Franco ‘marocco’) e Salvatore Catania, il boss di Bronte. Il piano è fallito solo “per il provvidenziale arresto di Crisafulli, quando tutto era già pronto per l’esecuzione”, scrive Simona Ragazzi. Il capo di Lineri è finito in galera per l’omicidio di Mimmo Spina, ammazzato nel 2002.

Per un periodo c’è stato una sorta di armistizio. Poi però è uscito dal carcere Pippo Ercolano, il braccio economico del clan. “Questi, cugino e allo stesso tempo cognato di Nitto Santapaola nonché padre di Aldo Ercolano (l’assassino del giornalista Pippo Fava, nrd), in data 21 gennaio 2004, dopo dieci anni di detenzione, è stato rimesso in libertà per fine pena”. La pace è rotta. Già i Mirabile nei mesi precedenti hanno messo in guardia La Rocca delle “intenzioni bellicose” di Pippo Ercolano, che definiscono “persona avida e priva di scrupoli”. Per la gip, inoltre, solo un personaggio del calibro di Pippo Ercolano si poteva assumere la “responsabilità di decretare la morte di un “uomo d’onore”. 

Le microspie del Ros sono state piazzate al Pagliarelli di Palermo. Giuseppe Mirabile e Paolo Mirabile hanno tanto di cui discutere a maggio 2004. Soprattutto dopo l’uccisione di Michele Costanzo. Per i due parenti non c’erano dubbi: chi aveva ucciso Costanzo era lo stesso che aveva organizzato l’attentato allo Zio Alfio. 

MP: fonu iddi che hanno colpito lo Zio?
MG: a chi? MP: fonu iddi.
MG: ah!
MP: ora se la vedono p.i.
MG: fu per una …pp.ii
..è cosa di Pippo Ercolano. E non sba­glio… capisci.. · 

I Mirabile hanno voglia di preparare la vendetta. Ma ci sarebbe il problema delle armi. E infatti Francesco Mirabile diceva al figlio Giuseppe che il gruppo non aveva “biciclette”, per indicare pistole e giubbotti antiproiettile. 

…il fatto è uno che no c’è abbentu pi nuddu…non ci fu abbentu pi nuatri non ci n ‘né chiu pi nuddu… (Non c’è più tranquillità per nessuno, non ce ne stata per noi non ce ne sarà per nessuno)

Dalle intercettazioni è documentato un tentativo voluto da Ciccio La Rocca per chiedere conto e ragione a Pippo Ercolano sull’agguato. Ma i Mirabile sono concordi nell’affidare l’arduo compito al loro capo, Nino ‘u pazzo Santapaola, fratello del più noto Nitto. Il 5 giugno 2004 Francesco Mirabile ha comunicato al boss le informazioni sull’attentato ad Alfio Mirabile. Le microspie hanno registrato “giudizi pieni di rancore nei confronti del cognato Pippo Ercolano (che ha sposato Grazia Santapaola, sorella del capomafia)”. Mirabile ha avuto modo di pensare e ha concluso che “l’autore dell’agguato doveva ricercarsi all’interno del gruppo di Sebastiano “Nuccio” Cannizzaro, noto uomo d’onore di San Giovanni Galermo e molto vicino agli Ercolano”. Cannizzaro è il boss che ha fatto il ricorso alla Consulta sull’ergastolo ostativo. Nino Santapaola ha chiesto ai suoi uomini una reazione armata. Ma la questione rimane una: “problema non ce n’é! Solo che mancano le biciclette (mancano le armi, ndr)”

All’interno di Cosa nostra è incominciato il depistaggio (molto simile a quello dell’agguato da Gino Ilardo, ucciso il 1996). Ed infatti sono cominciate a girare false accuse nei confronti di Alfio Mirabile che si sarebbe intascato dei soldi che non gli spettavano. Francesco Mirabile è montato su tutte le furie ed è pronto a uccidere appena esce dal carcere. Pippo Ercolano è definito un uomo “senza principi”. 

MIRABILE: …. lo mi accontento a farmi cent ‘anni di galera, ma no a darici u saziu a ‘mpugnu di cunnuti di chissi !. Cent ‘anni di galera me li faccio, ma loro ca mana astruppiari a me o a qualcuno di noialtri, non esiste! Perchè non hanno né tri testi né…non hanno niente!). 

Restava, dunque, il problema della armi. Ma sarebbe stato incaricato “Turi u picciriddu”. Questo il nomignolo di Salvatore Guglielmino, già condannato all’ergastolo insieme a Dario Caruana, oggi collaboratore e reo confesso, in primo grado per l’omicidio Di Pasquale. Anzi il killer ha chiesto perdono, durante il processo d’appello, alla famiglia di Giorgio Armani. Così chiamavano la vittima nella malavita. Ma dopo tanto tempo quella confessione ha tutti i sapori, tranne quello del pentimento. Vero.

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