Matteo Messina, la taglia fa gola: centinaia di segnalazioni

“Ho visto Messina Denaro”| Una montagna di segnalazioni

A tanti fa gola la taglia sulla testa dell'ultimo padrino latitante

PALERMO – Si potrebbe definire il “codice rosso” dell’antimafia. È la montagna di segnalazioni sulla presenza in giro per l’Italia e per il mondo di Matteo Messina Denaro. Negli ultimi tre mesi si sono accumulati poco più di duecento fascicoli.

Il “codice rosso” per le donne vittime di minacce e atti persecutori prevede l’attivazione di una procedura immediata per evitare il peggio. Da quando è entrata in vigore la nuova legge è iniziato il super lavoro per i magistrati.

Analogamente avviene, ormai da tempo, per le indagini sull’inafferrabile capomafia di Castelvetrano, l’ultimo dei padrini latitanti. Giornalmente in qualche ufficio di una Procura italiana c’è un magistrato che contatta i colleghi palermitani. Al procuratore Francesco Lo Voi e all’aggiunto Paolo Guido tocca verificare. Magari è la volta giusta.

Alcune segnalazioni si presentano sul nascere come inverosimili. Altre no, perché non si può escludere che il latitante sia nascosto nel più anonimo degli appartamenti nella periferia di una grande città italiana. O nel piccolo centro di provincia.

La faccenda si complica quando la segnalazione arriva dal più remoto dei continenti. Lo vedono dappertutto, anche a casa del vicino a cui qualcuno vuole “dedicare” la visita in divisa per il solo gusto di fargli uno sgarbo. Accade anche questo.

A molti segnalatori fa gola la taglia messa dai servizi segreti sulla testa del capomafia. Nel 2010 trapelò una cifra vicina al milione e mezzo di euro. Dieci anni dopo sarà certo aumentata. Nonostante la ricompensa la soffiata giusta non arriva. E si continua a cercare.

Anzi a rastrellare ogni centimetro quadrato di Castelvetrano e dintorni, non tanto perché si crede che, come da tradizione (i casi di Riina, Bagarella, Provenzano, Brusca etc etc), alla fine il latitante si senta più sicuro a casa, piuttosto perché si spera di trovare un indizio.

Non c’è abitazione, garage, cantina o anfratto che non sia stato perlustrato. Gli investigatori conoscono ogni mattonella del paese in provincia di Trapani. Niente, neppure un pizzino, una letterina, una fotografia che rappresenti una traccia. Il padrino non c’è. È un fantasma, nonostante da anni venga ricondotto alla sua volontà tutto ciò che avviene in provincia di Trapani, dalla disputa per un terreno a pascolo all’apertura di una bottega in paese, alla costruzione di un mega impianto fotovoltaico.

Di lui hanno detto che si è rifatto il volto con una radicale plastica facciale, ha cambiato il tono della voce con un’operazione alle corde vocali. Neppure i polpastrelli per le impronte digitali sono più quelli di una volta. Quando lo scoveranno, si spera prestissimo, potranno confrontare il suo Dna con uno dei tanti parenti che hanno gli hanno arrestato negli ultimi anni. Neppure aiutano gli identikit, sulla cui attendibilità e il modo in cui è stato realizzato ci sarebbe parecchio a ridire

“Sono convinto che lo arresteremo a breve”, ha annunciato il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. Lo aveva già detto nel 2019, ma va sottolineato che si tratta della cattura delle catture, mica una passeggiata.

A casa della madre Lorenza Santangelo c’è un ritratto del figlio Matteo, stile Andy Wharol, con tanto di corona in testa. Ad ogni perquisizione spunta fuori il filmato dell’effigie regalata alla famiglia, pare, da un tatuatore locale. Fa il giro delle prime pagine di televisioni e giornali e il mito dell’imprendibile capomafia si alimenta.

Non lo vogliono arrestare perché “se si pente lui”, dicono in tanti, “crolla tutto”. I segreti delle stragi, l’archivio di Riina sparito dal covo di Bernini, la trattativa Stato-mafia etc etc. Il padrino avrebbe un potere ricattatorio eterno. Certo appare ingeneroso credere che un manipolo di corrotti sia capace di prendersi gioco delle migliori forze investigative del Paese. Si dovrebbe ipotizzare la presenza di una gola profonda in ogni ufficio, e sono tanti, dove siede un magistrato o un uomo in divisa che gli dà la caccia.

Una cosa è certa ed è il silenzio attorno al latitante. Questo sì che inquieta. Gli hanno arrestato tutti in parenti: Salvatore Messina Denaro (fratello), Anna Patrizia Messina Denaro (sorella), i cognati Vincenzo Panicola (marito di Anna Patrizia), Gaspare Como (marito di Bice), Rosario Allegra (marito di Giovanna), Filippo Guttadauro (marito di Rosalia), Francesco Guttadauro (figlio di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, dunque nipote), Luca Bellomo (sposato con Lorenza Guttadauro, sorella di Francesco).

Qualcuno nel frattempo ha pure finito di scontare la condanna, altri ne subiscono in silenzio la maledizione. Come Filippo Guttadauro che da quattro anni vive da internato al 41 bis nel carcere di Tolmezzo. Ha finito di scontare la sua condanna, ma essendo ancora socialmente pericoloso gli è stata applicata una ulteriore misura di sicurezza. Dovrebbe partecipare alla vita della casa lavoro. Siccome il lavoro non c’è per gli onesti figuriamoci per i mafiosi, manca lo strumento per valutare il suo comportamento attuale. E così il suo status viene mantenuto di proroga in proroga. In gergo carcerario si chiama ergastolo bianco. Guttadauro sopporta in silenzio come tutti coloro che hanno fatto parte della rete di pizzinari dell’ultimo dei padrini latitanti.


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