Marcella che piange al telefono: quei malati fragili e soli

Marcella che piange al telefono: quei malati fragili e soli

Il Coronavirus rischia di lasciare soli quelli che già soffrono. Le storie di chi attende una telefonata.

PALERMO- Marcella piangeva al telefono. Lei, malata grave e fragile, con un tumore al polmone, impossibilitata a spostarsi per le sue condizioni di salute, sola, ringraziava tra le lacrime. E diceva. “Meno male che il medico della Samot telefona ogni giorno, altrimenti mi sentirei abbandonata”. Aveva bisogno di un drenaggio pleurico, Marcella, positiva al Covid, alla fine è stato fatto con abnegazione. Ma immaginate tanti malati fragili, soggetti all’assistenza domiciliare e positivi. Chi se ne prenderà cura nei giorni della pandemia?

Il popolo dei sofferenti

Sono tanti i sofferenti e, di questi tempi, soffrono ancora di più. Tania Piccione, punto fermo della Samot (società di assistenza ai malati oncologici e terminali), che dà conforto a domicilio e cure palliative, sotto la guida dell’Asp, spiega: “Trattiamo cinquecentocinquanta persone solo a Palermo e provincia, circa ottocento in tutta la regione. A Palermo ci sono, per esempio, cinque casi positivi e altri tre che attendono l’esito del tampone. Come capita ovunque, la curva del contagio è esponenziale anche per i soggetti fragili e questo nel nostro settore crea molti disagi. Noi, riguardo al Covid, seguiamo protocolli rigorosissimi e di sicurezza assoluta. Garantiamo in presenza gli interventi non procrastinabili. Degli altri ci prendiamo costantemente cura a distanza per una migliore tutela. Mascherine e presidii ? Abbiamo acquistato quasi tutto noi. La nostra missione è non lasciare solo nessuno. I nostri malati hanno bisogno di una assistenza specifica e continua, essenziale sotto l’aspetto fisico e psicologico”.

Un’Usca dedicata ai casi gravi

E qui sorgono i problemi. Chi deve pensarci? Chi deve organizzare un sistema che non escluda nessuno, in nessun momento? L’Usca (l’Unità Speciale di Continuità Assistenziale) si occupa di Coronavirus e il personale è sotto uno stress immenso, con il peso di giorni difficili che non finiscono mai, perché l’impegno sul territorio aumenta. Chi sta sul campo delle cure domiciliari deve porsi davanti a una drammatica scelta: quando andare e quando, invece, seguire da una lontananza protettiva, nell’eventualità di pazienti positivi. Ma ci sono prestazioni in cui occorrono mani e competenza, perché non è sufficiente la telefonata. Per non parlare dell’aspetto psicologico e del sentimento di abbandono che può subentrare. Il Coordinamento regionale delle cure palliative ha proposto la presenza di un’Usca dedicata, per ogni Asp, alle persone fragili, costrette a stare a casa. Se ne discute, perché le risorse non sono illimitate.

“Le difficoltà si sono decuplicate”

In giro ci sono, con la Samot, gli operatori della Samo Onlus (Società di assistenza al malato oncologico), con identica abnegazione, da venticinque anni. “Dall’inizio della pandemia – dice il presidente, Luigi Zancla – le difficoltà si sono decuplicate, non tanto per i malati perché, tra i nostri assistiti, non risultano casi positivi. Ma abbiamo avuto i parenti contagiati, soprattutto con il rientro dal Nord. Gestiamo l’emergenza con sacrificio, evitando che i nostri ragazzi possano essere e mettere a rischio. Abbiamo affrontato le spese necessarie per agire in totale sicurezza. l’Usca per i soggetti fragili? Parliamo di ambiti diversi. Se si vuole, andrebbe costituito qualcosa di nuovo che si occupi di assistere la terminalità delle persone con il Covid. E’ necessario essere precisi, con la massima organizzazione”.

L’importante sarà non lasciare solo nessuno. Né chi combatte in trincea, né chi aspetta una telefonata. E piange di gratitudine perché, grazie alla vicinanza di qualcuno, si sente ancora vivo.


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