La dottoressa che vive in una cantina: "Proteggo quelli che amo"

La dottoressa che vive in cantina: “Proteggo quelli che amo”

Ha scelto di isolarsi dopo il tampone positivo: ecco come vive adesso
PALERMO, LA STORIA
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PALERMO- Di una vita che si è organizzata in cantina per proteggere le persone che ama e il mondo che gira intorno ci sono tracce, disegnini e foto. Non possono essere mostrati, quei cenni biografici, perché la storia viene narrata con l’impegno della privacy. Ma possono essere raccontati. C’è un lettino piccino picciò, con un lenzuolino, accanto a una finestrella. Ci sono dei cuoricini che una mano bambina ha vergato su un foglio normale per dare linee e forma alla speranza immensa del ritorno a casa di una mamma separata dai suoi affetti perché contagiata dal Covid.

La dottoressa in cantina

Questa mamma è una giovane dottoressa dell’ospedale ‘Cervello’ di Palermo. Quasi un mese fa ha scoperto di essere positiva al virus. Da allora, si è volutamente isolata nella cantina, sotto la cucina di casa sua, per salvaguardare la famiglia e tutti gli altri. Nessun contatto. Solo videochiamate e una figlia piccola che chiede: “Mamma, per forza il medico devi fare? Non puoi stare qui con me? Ma tu hai tanto o poco Covid?”. Nessun abbraccio per una donna forte che, una volta, è scoppiata a piangere per il dolore fisico e l’uomo che ama, su, in cucina, si è preoccupato, tanto clamoroso era il pianto.

“Sembra Beirut…”

La dottoressa racconta: “Ero a Villa Sofia. Mi hanno chiamata al ‘Cervello’ per curare i casi di Coronavirus e ci sono andata di corsa. Ho visto la differenza tra prima e adesso. Nessuna vita è diversa per chi cerca di salvarla. A marzo, nei reparti, c’erano soprattutto pazienti anziani. Poi, in autunno, mi è sembrato di vivere a Beirut. È tremendo: ti affezioni alle persone, a tutti, e quando non puoi aiutare… Ho visto giovani uomini molto gravi, gente del ‘68, gente del ‘72. Non si può capire lo stato di tensione e di impegno”.

“Ho scoperto di essere contagiata”

“A novembre è successo – continua la dottoressa . Sono tornata a casa alle tre del pomeriggio. Mio marito aveva cucinato la pasta al salmone che adoro. Non sentivo il sapore e nemmeno l’odore. Ci siamo, ho detto tra me e me. Ho fatto il tampone ed ero positiva. Da lì, un unico pensiero fisso: proteggere le persone che amo, proteggere gli altri, proteggere tutti. Mi è crollato il mondo addosso. Abbiamo pensato alla nostra cantina, appena pochi metri. Mio marito l’ha organizzata. Mi sono messa qui con il saturimetro, con il termometro e con la terapia. La mia bambina, con il whatsapp, mi regala un disegno al giorno. Scrive: ‘Mamma torna presto, ci sarai per Natale?’. Ho ricevuto tanto amore, pure dai colleghi. Giuseppe Arcoleo, Tiziana Maniscalchi, tutti, tutti voglio abbracciarli… E tutti gli infermieri e gli operatori sociosanitari che affrontano sacrifici enormi”.

Abbracci e disegni

Questa cronaca schietta, sincera è molto lontana dall’incoscienza di troppi. “In ospedale siamo una squadra – racconta la dottoressa -. Vedere le persone che muoiono è un’esperienza al limite, specialmente così tante ogni giorno. Reggi soltanto se c’è chi ti aiuta. Cerchiamo di sostenere chi sta male. Il dottore Arcoleo, per il reparto di terapia intensiva pneumologica, ha comprato un cellulare per offrire videochiamate anche a chi non ha lo smartphone. Sto meglio e spero di tornare presto al mio lavoro, perché qui, rinchiusa, mi sento inutile. E spero di riabbracciare tra poco le persone che amo: mio marito, mia figlia..”. Una bimba che ha disegnato l’amore per sua madre, con ogni battito di quei cuoricini raffigurati. Non esiste una magia più efficace per illuminare una cantina piccina picciò e trasformarla in reggia.


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