"Ci sparo, sono munnizza": i monologhi del boss in esilio - Live Sicilia

“Ci sparo, sono munnizza”: i monologhi del boss in esilio

L'allontanamento, lo scontro e il ritorno al potere di Giulio Caporrimo

PALERMO – Lo avevano tagliato fuori dalla riorganizzazione di Cosa Nostra. Non solo perché Giulio Caporrimo era detenuto durante la stagione che portò alla convocazione della nuova cupola, avvenuta nel maggio 2018, ma anche perché, stando alla ricostruzione della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, gli era stato preferito Francesco Palumeri. L’indagine che ha oggi ha portato al fermo di sedici persone descrive le fibrillazioni interne al mandamento di Tommaso Natale.

Caporrimo, che del mandamento era stato il reggente, prima si è fatto da parte e poi ha iniziato a riprendersi il potere. Solo che il boss ha mostrato un difetto imperdonabile. Parlava troppo e da solo nella sua casa di Firenze dove si era ritirato nel momentaneo esilio.

Lunghi monologhi sono stati captati dai carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo. Caporrimo era rabbioso nei confronti di coloro che lo avevano esautorato, non ne riconosceva l’autorità e aveva propositi di sangue.

Il primo input investigativo è del 20 febbraio 2018. Vincenzo Taormina diceva al cognato Giovanni Pensabene: “Le cose dice che sono cambiate… però noi problemi non ne abbiamo… sono cambiate altre persone”.
La conversazione è di pochi mesi antecedente alla scarcerazione di Giulio Caporrimo, avvenuta il 24 maggio successivo.

Il 30 agosto si svolge un incontro a casa di Vincenzo Taormina in via Cardillo. Sono presenti Caporrimo, il figlio francesco, l’anziano boss Michele Micalizzi, l’emergente Francesco Palumeri e Antonino Vitamia.

Finita la riunione alle 16:33 le microspie piazzate sulla macchia di Taormina raccolgono una frase eloquente: “Ci hanno abbandonato”. Non è casuale, dicono gli investigatori, che il 3 settembre successivo Giulio Caporrimo si trasferisce a Firenze. Anche la sua residenza toscana, al civico 26 di via Telemaco Signorini, viene imbottita di microspie.

E iniziano a captare i monologhi di Caporrimo. Se la prende con un uno dei fratelli Serio, Giuseppe o Nunzio: “…. gli hai accordato la politica … se esce tuo fratello… il primo bordello lo combina con te… il secondo lo combina con me… e io sono con lui non ti preoccupare…”.

La politica altro non sarebbe che la scelta di nominare alla reggenza del mandamento Francesco Palumeri. Caporrimo prova rabbia nei confronti di tanta gente. Innanzitutto verso il boss di Belmonte Mezzagno e pentito Filippo Bisconti: “… vuoi fare il pentito però deve sapere di cosa… parla e come può dire… devono sciogliere la commissione… qua chi è che la sa diciamo sono pochi…”.

Quindi racconta di cosa si è discusso alla riunione di agosto. A Michele Malizzi, anziano boss di Tommaso Natale, tornato libero dopo una lunga detenzione, è stato detto “di non scendere perché Miche’ parliamoci chiaro… io ti sto parando il culo, se te lo posso parare… e ti ho detto di non scendere perché c’erano morti da seppellire sopra di te, pure sopra i nuovi Inzerillo… a te non ti pare che non c’è nessuno… io ti lascio convincere così … no, forse non mi hai capito… a te ti pare che non c’è nessuno per ora. Michè, io sto capendo che tu vai girando ovunque con quale… con quale autorizzazione al mandamento non si capisce… ma chi cazzo siete?… fate i bravi… che si trova a chi è che struppia che poi non voglio sapere niente”.

Il suo bersaglio principale è Palumeri a cui innanzitutto contesta il fatto che “da quattro mesi mi pare ritirato che non dà i soldi degli altri… questo è combinato pure… ma lo sanno che significa essere combinati tutte le volte mi viene a dire le stesse tarantelle poi fa passare altri due mesi.. i soldi dammi questo cornuto sbirro… ora ci sparo… ci faccio sparare a suo figlio più cornuto di lui… sessanta mila euro mi ha fottuto”.

Caporrimo fuma di rabbia: “… capo mandamento… noi siamo peggio degli zingari… gli zingari la stessa cosa, loro parlano di carica perché lui poteva avere una carica? Potevate una carica? Addirittura di capo provincia… è finita… una farsa… io sono Cosa nostra loro sono solo come ci viene diciamo si potrebbe dire così cosa come ci viene… stiamo parlando della munniza””.

Caporrimo si chiede “ma questa commissione pure come l’hanno fatta? Non per lo zio Pietro ci mancherebbe… chi è… la fanno tre mandamenti? Quanti erano tre? Non si capisce e come fanno a decidere? Ma che sono pazzi?… se ci devono ridurre come stiddari”.

Neppure riconosce l’autorità dell’anziano capomafia di Pagliarelli, Settimo Mineo, che ha presieduto l’assise mafiosa: “… dice che comandava tutta Palermo perché non era più il caso di nominare Lo Piccolo… uno rimane sempre fedele è sempre innamorato e la stessa persona quando mi ha detto ma non ne parliamo non chiamo più a mio parrino l’ho preso l’ho fatto alzare dalla sedia che dice che comandava tutta Palermo e l’ho inseguita a calci in culo”. Caporrimo gira fedeltà a Salvatore Lo Piccolo, il boss di San Lorenzo che lo ha sempre considerato il suo quarto figlio”.

Ad aprile scorso c’è un episodio che segna il ritorno a Palermo di Caporrimo. Ottiene il permesso per partecipare alla cresima di un parente. I carabinieri lo pedinano fino al ristorante di Mondello dove si tiene il ricevimento. Ne approfitta per incontrare Francesco Palumeri e Antonino Spica. Da lì in poi inizia a riprendersi, seppure a fatica, spazi di potere. Autorizza alcune estorsioni, mette le mani sulla gestione dei servizi funebri, fa da paciere, si accaparra dei sub appalti nei lavori edili, ordina danneggiamenti agli imprenditori che non si vogliono sottomettere.

Caporrimo si affida a un drappello di fedelissimi e al timore che incute. Eppure resta vittima di un episodio curioso. Così diceva Giuseppe Cusimano: “Gli hanno fottuto la bicicletta al fratello… stava salutando un picciotto, minchia si sono portati la bicicletta.. siamo a mare non la possiamo trovare”.


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