Inchiesta sui dati Covid in Sicilia: tre ipotesi per uno scandalo

Inchiesta sui dati Covid in Sicilia: tre ipotesi per uno scandalo

Le possibili letture dell'indagine che ha scosso la sanità siciliana

Quali sono alcune tra le ipotesi che – nella premessa delle garanzie che non sottintendono formule vuote, ma indicano il rispetto della verità – si possono formulare sullo ‘scandalo’ dei presunti dati Covid falsati in Sicilia (diciamo scandalo per oggettiva e inevitabile reazione generale)? Avvertenza preliminare: si tratta appunto di una porzione random delle ricostruzioni che si potrebbero sostenere o che sono state immaginate nel vasto campo di una polemica, tenendo presente, sempre, l’assoluta presunzione di innocenza di chicchessia. Ma se ci fermiamo a tre ipotesi è perché, forse, da ognuna di esse, si può trarre una morale. Per tutti.

La prima: siamo in mano a una banda di criminali che ci sta consapevolmente sterminando, magari soltanto per cadere in piedi o per ‘fare bella figura’. Suggestiva ideuzza, specialmente sui social, ma da scartare senza indugio. E tuttavia rimane indicativa del livello sovente barbarico di una discussione che è anti-giuridica e anti-umana, prima che ci sia un eventuale processo, figuriamoci una sentenza. Ruggero Razza, per semplificare, può piacere o non piacere, potrà avere commesso oppure non determinati fatti e si vedrà. Certamente, non è un assassino.

La seconda: l’assessore e i suoi collaboratori avrebbero manipolato i dati per non ammettere la portata dei contagi e scansare le impopolari restrizioni. Non sono degli assassini, ma figure un po’ spregiudicate che avrebbero truccato qualche numero, senza porsi troppo il problema delle conseguenze. E’, per grandi linee, l’ipotesi dell’inchiesta e, fermo restando che non c’è, per ora, un processo, dunque, nemmeno una sentenza: appunto, si vedrà. Se così fosse, le conseguenze innanzitutto morali sarebbero gravissime, perché chi è deputato alla tutela della comunità sarebbe venuto meno, oggettivamente, alla sua funzione. Uno scenario del genere, qualora accertato in una distanza non biblica, esigerebbe le dimissioni dell’intero governo, a prescindere dalle responsabilità di ognuno, sotto il peso di una catastrofe etica senza precedenti. Si raccomanderebbe, insomma, un gesto di dignità. Ed è importante annotare l’esigenza, prima ancora che qualunque esito si inveri.

La terza ipotesi: siccome, per ritardi del sistema di conteggio, i dati non potevano essere precisi al giorno, si è scelto di ‘spalmarli’ con criteri almeno discutibili. Ed è forse il punto su cui vale la pena di soffermarsi un po’ di più, soprattutto per le interazioni con il tempo che stiamo vivendo. Una politica trasparente, se fosse, alla fine dei giochi, confermata la conclusione per ora immaginaria, avrebbe dovuto fare una cosa molto semplice: fermarsi e rendere manifesto il proprio disagio. Sarebbe stato, cioè, sufficiente dire: signori cari, non riusciamo ad avere i numeri precisi della giornata e, per essere sinceri, pensiamo anche che una rilevazione quotidiana non sia efficace nel quadro di una pandemia. Per cui noi invochiamo un po’di pazienza e un diverso sistema di calcolo. Poi si sarebbe potuto discutere, in libertà, sulle conseguenze e sul rapporto tra le percentuali e le scelte di governo, tenendo presente l’accorata difesa del presidente Musumeci e le varie spiegazioni che saranno valutate dai giudici.

Ma, se fosse davvero questo il presupposto dello ‘scandalo’, avremmo mai trovato, nell’intero mondo conosciuto, un politico disposto a una simile ammissione? Ci pare di poterlo affermare con serenità che, no, non l’avremmo trovato, da Bolzano a Pachino.

La politica, che era restia a riconoscere onestamente gli intoppi, oggi è addirittura omissiva ed è un principio generale, non siciliano. Conta il ‘like’. Conta il gradimento istantaneo. Conta un meccanismo del consenso che ha smesso di misurarsi sui periodi medi o lunghi e che tenta di sedurre l’attimo fuggente, probabilmente per disistima degli elettori, considerati ormai un gregge assai poco immune alla signoria della pancia.

Ecco una verità che che pare lampante a prescindere da ogni via che prenderà l’inchiesta e oltre l’orizzonte di questa storia. Si è perso il coraggio dell’impopolarità per un grammo in più di cuoricini e faccine sorridenti da sventolare come bottino del minuto. Un elemento aggravato dalla circostanza di una guerra dei consensi senza quartiere, scoppiata a margine della tragedia pandemica; dal dissidio tra chi difficilmente governa, a tutti i livelli, e chi facilmente si oppone al cospetto di un popolo piegato e arrabbiato. Si può presumere che il ‘passatempo’ principale sia trovare qualcun altro a cui dare una colpa. Ed è verosimile che una zona rossa perché la chiedo io e una zona rossa perché la decidi tu siano colori diversamente impopolari, con margini non piccoli di differenze sul piano proprio dei consensi.

Le appena citate, comunque, sono solo alcune tra le ipotesi percorribili dal surreale al chissà. Infine, c’è una certezza che non andrebbe dimenticata, utile da ricordare a ogni passo e da ripetere come un salmo. Le persone coinvolte sono innocenti. Almeno, fino a prova contraria. Ecco perché, nella legittima variabilità dei giudizi politici e morali, vanno sorvegliate le parole. Se, domani, la storia di cui si narra fosse giudicata penalmente non rilevante, chi potrebbe risarcire i convenuti, sommersi nell’onda delle condanne sommarie preventive? E questo vale per tutti, non soltanto per gli assessori o i burocrati.


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