L’autore dell’articolo, Pietro Adragna, è palermitano, concorrente dell’11esima edizione di Masterchef Italia: componente della neonata CheFamily, il gruppo di affiatati ex concorrenti, molto attivo nei social e in giro per l’Italia con i loro eventi di cooking show. Non poteva che essere lui a raccontarci storia e tradizione di Santa Lucia, a svelarci la sua ricetta e a rivendicarne la femminilità: lui che, a Masterchef, ha “redarguito” Chef Barbieri reo di averla chiamata… arancino.
Finalmente è il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. Ma se Santa Lucia è la Patrona di Siracusa per quale motivo a Palermo questa data assume i contorni sacrali del rito, seppur gastronomico?
Nata nel 283 d.C. proprio a Siracusa, Lucia fu promessa in sposa solo poco prima che l’adorata madre si ammalasse; così Lucia chiese l’intercessione di Sant’Agata, alla quale giurò di prendere i voti in cambio della guarigione della madre. Così Sant’Agata compì il miracolo.
Ahinoi, le cronache di attualità dei nostri giorni hanno origini lontane e già allora il promesso sposo di Lucia, sentitosi tradito dalla promessa di matrimonio mancata, fece condannare Lucia, alla quale vennero cavati gli occhi che però, miracolosamente, le ricomparvero il 13 dicembre restituendole la vista.
Insomma, una splendida storia di donne.
Così nasce la cuccia
Ma cosa c’entra con il cibo? Ebbene, proprio il 13 dicembre del 1646 durante una terribile carestia che aveva colpito Palermo, come per miracolo un enorme battello carico di frumento attraccó al porto di Palermo venendo preso d’assalto dalla popolazione affamata. Tutto il grano, nella concitazione, finì in mare e non essendo possibile lavorarlo per la panificazione, senza attendere che asciugasse, si decise sopraffatti dagli stenti di bollirlo e mangiarlo condito con olio.
L’arancina è fimmina
Così nasce la Cuccìa. Ma nel tempo a Palermo divenne uso, in devozione a Santa Rita a cui fu inevitabilmente attribuito il miracolo dell’attracco di quel battello salvifico, rinunciare il 13 dicembre a mangiare qualsiasi cibo preparato con farina. Si sviluppò così l’uso del riso, inventandone una variante ripiena e fritta, dalla forma e dal colore di una arancia.
Ora ditemi: se all’origine di tutto c’è il miracolo di una “fimmina”, potremmo mai non chiamarla “arancina”?
La ricetta delle arancine
Ingredienti per 10 arancine:
Per il ragù:
150 grammi tritato di vitello, 150 gr. salsiccia di suino nero dei Nebrodi, 500 gr. datterino giallo, 500 gr. ciliegino, 50 gr. pisellini, 1 carota, 1 cipolla, 1 costa di sedano, Olio EVO, sale e pepe q.b., basilico.
Per il riso: 500 gr. riso qualità Roma, 1 lt. brodo vegetale, 20 ml. vino Nero d’Avola, 2 bustine di zafferano in polvere, 60 gr. burro, 100 gr. parmigiano.
Per la panatura:
100 gr. farina 00, 200 ml. acqua, 150 gr. pangrattato grosso di rimacina.
Procedimento:
Fare rosolare della cipolla e stufare i pomodorini per poi frullare e setacciare il sugo e finirne la cottura. Quindi far soffriggere il mix di cipolla, sedano e carota, farvi rosolare le carni e sfumare con vino; aggiungere la salsa e far cuocere a fuoco bassissimo per un’ora finché non sarà molto stretto. Cuocere il riso con il brodo ad assorbimento, aggiungere lo zafferano e mantecare, una volta al dente, fuori dal fuoco con burro freddo e parmigiano. Stendere il riso su una spianata, una volta freddo lavorare con mani ben unte formando delle forme di piccola arancia all’interno delle quali inserire porzioni generose di ragù. Quindi passare in pastella, poi nel pangrattato, e infine friggere a 170 gradi per 4 minuti.
Ah, infine un suggerimento fondamentale: prima di prepararle non scordare di comprare il Gaviscon! Buon Appetito.