E’ triste, ma può succedere. Succede che un meraviglioso artista si riveli un piccolo uomo, nel senso letterale delle dimensioni. Un poeta della musica come Franco Battiato, uno che ha dimostrato con la sua magia di sapere toccare mente e cuore, messo al livello del suolo, non ha retto. Ne ha infilata una dopo l’altra, raramente andando a segno. Peggio dell’albatro di Baudelaire – ricorda Maestro? – che era inimitabile nel volo, ma diventava un goffo arnese sulla tolda di una barcaccia, tra le risate di scherno dei marinai. Non è appunto inusuale che accada. I grandi si sentono a proprio agio nei cieli solitari che controllano a perfezione, nel caso di Battiato, tra parole e note. A confronto con le relazioni complesse e difficili della moltitudine, si può crollare. Ebbene, Franco crollò.
E’ che l’imperfezione appartiene al nostro pianeta, senza speranza di ali che ci aiutino ad abbandonarlo, non alle costellazioni dei sublimi personaggi che hanno scelto la bellezza come rimpianto. L’assessore Franco si trovava a suo agio tra una campana tibetana, l’occhio affettuosamente partecipe di un cinghiale bianco e la fisiognomica o i nomadi di Camisasca. Non ha retto l’impatto con Rosario Crocetta. Comprendiamo e simpatizziamo. Sarebbe nobile, in segno di gratitudine per quanto egli ci ha dato, concedergli il nostro perdono plebeo. Se non si offende.
Purtroppo, le parole restano. Le ultime, da qualunque angolazione si guardino, non meritano scuse. Breve riassunto: “La destra italiana è una cosa che non appartiene agli esseri umani. Queste troie che si trovano in Parlamento farebbero qualsiasi cosa. E’ una cosa inaccettabile. In Italia si sta avverando una profezia biblica. Parliamo la stessa lingua ma non ci intendiamo. Ognuno è artefice del proprio destino, questa Italia così fa schifo. E’ inaccettabile. Sono inaccettabili i loro discorsi. Servi dei servi. E’ l’idiozia dell’essere umano, che con 10 euro si compra un voto”. Frasi prive di armonia. Paccottiglia qualunquista. Sciocchezze.
Ora, pure a provando a cantarle, sono oscenità assortite. E non capiamo. Franco Battiato nelle sue opere riesce a evocare dolcezza infinita. Da dove è spuntato questo energumeno degli aggettivi, questo squadrista da olio di ricino dell’epiteto? Non crediamo che sia lo stesso autore che ci ha sorpreso con la penombra di “Mal d’Africa”, o con la leggerezza de “L’animale”. Sarà stato un sosia, un sabotatore, uno che si è impadronito di lingua e gesti per rigettare una sequela di insulti. O forse è proprio lui, bruciato dalla legge dell’albatro.
La toppa – “Non parlavo di questo Parlamento” – è risultata addirittura più patetica del buco. La consueta marcia indietro, l’espediente della dissuasione, il felino infilato nel sacco per attutire la pessima figura (proverbio metafisico siciliano vestito di centenaria tradizione), appartengono al decrepito politicume, alle azioni stantie che il musicista-governante ha certificato di non amare con le sue deflagranti esternazioni.
Potremmo citare altre perle, una su tutte: un esponente di giunta che si assenta dalla quotidianità per i suoi concerti, con la marea che bussa alla porta delle istituzioni, non va bene e non fa gli interessi della Sicilia.
Maestro, glielo sussurriamo piano piano, proprio sottovoce, con il rispetto che nasce da un’antica ammirazione. Scelga. O dinamitardo o rappresentante di un governo. O assessore o cantautore in tour. O vagante per mondi lontanissimi o in questo mondo politico di sotterfugi e occasioni, con i compromessi e le attenzioni che richiede. Scelga, assessore. E chieda scusa per le sue offese. Oppure tolga il disturbo. Senza stonature.