PALERMO – “Io non lavoro, sono casalinga. Sto con i miei figli”. Così esordisce, il 21 giugno scorso, durante l’interrogatorio di garanzia, Concetta Argento, moglie di Faustino Giacchetto. Eppure risulta titolare di una ditta individuale che avrebbe fatto parte del sistema organizzato, secondo l’accusa, dal marito.
Lei cade della nuvole e sbotta: “Non so quando noi avremo la possibilità di vederci ma mio marito me la deve dare questa spiegazione, perché la mia rabbia è troppo forte stavolta, io voglio capire”. Quando il giudice per le indagini preliminari Luigi Petrucci le fa l’elenco dei reati che avrebbe commesso – dalla truffa alle false fattura, al riciclaggio -, quando sintetizza gli affari illeciti del marito fatti con i soldi del Ciapi, quando le spiegano che alcune delle fatture false o gonfiate sono state emesse dalla sua ditta, la donna è incredula: “… cioè non riesco nemmeno ad afferrare i concetti, ha capito qual è il problema? Io sono sempre stata solo ed esclusivamente una mamma di famiglia, prima figlia di famiglia… mi creda, io ho cercato di leggere ma non ho capito niente”.
Concetta Argento spiega di conoscere solo la storia delle due aziende ereditate dal padre, la Adilat e la Cofarg, e i problemi che attraversarono quando scoppio il bubbone finanziario della Parmalat. Del resto è all’oscuro. A cominciare dall’attività del marito nel mondo della pubblicità: “Io non ho mai lavorato con mio marito. Io mi chiedevo alle volte, dicevo Fausto, ma cosa fai? Mi occupo di pubblicità. Mio marito non è un tipo che mi dava molte spiegazioni. Alle volte a casa mi arrivavano dei bonifici della Publikompass a nome mio… io li aprivo, leggevo, non capendo, perché se non sei del mestiere non capisci, dicevo Fausto, ma cosa sono queste cose a nome mio? No, sono compensi che mi spettavano a me. Stop”.
Concetta Argento dal 2006 ha lavorato per la Publikompass, società concessionaria che vende spazi pubblicitari sui quotidiani Giornale di Sicilia, La Sicilia e La Gazzetta del Sud. Aveva il compito di curare i rapporti commerciali direttamente ed esclusivamente con il marito. Tra il 2006 e il 2012 la Publikompass ha versato alla Argento, a titolo di “provvigione” e “over commission”, una somma complessiva di 1.158.504,87 euro. Soldi di cui la donna nulla sa: “Io non so neanche quanto io ho nel mio conto corrente, perché si occupa di tutto lui nella casa. Cioè io, allora, nonostante posso sembrare una persona, sono una donna forse che vive in una dimensione tutta mia, tutto quello che lui mi diceva io firmavo… dico, probabilmente avrò firmato qualcosa, però se un marito viene e ti dice mi devi firmare questo documento che serve per problemi… Io sono d’accordo con lei, io sicuramente da quello che voi mi dite che ho di sopra, le imputazioni che ho di sopra, io sicuramente avrò qualcosa fatto, ma io non so che cosa perché un uomo che ti dice firma, io firmavo ma non so niente di cosa firmavo”. Più avanti, nel corso dell’interrogatorio, aggiungerà: “Allora, io non ho mai fatto la procacciatrice di affari. Fatture, io non le conosco, se avete modo di farmi vedere se la firma è mia, perché io non mi ricordo di avere firmato… ma io neanche so dov’è la Publikompass, avvocato”.
I guai giudiziari di Giacchetto nascono anche e soprattutto dalle dichiarazioni di Sergio Colli e Angelo Vitale, amministratori delle società Media Center & Management e la Sicily comunications, che hanno ammesso di essere diventati delle pedine del sistema illecito. Praticamente dei burattini nelle mani di Giacchetto che li avrebbe utilizzati anche per le faccende di casa. Il Gip chiede alla donna se conosce Vitale e Colli e lei risponde: “Sì, e perché non debbo dirglielo, erano di famiglia a casa mia, Vitale lei ha detto che mi faceva pure la spesa, non è che mi faceva la spesa, quando mio marito non c’era mi diceva per qualsiasi necessità rivolgiti a Vitale… molto spesso io lo chiamavo e dicevo: Angelo, sai, ho bisogno di una ricarica per mio figlio, che fa, me la puoi fare? Siccome sapevo che avevano dei rapporti di lavoro con mio marito e lui mi diceva sì, certo, figurati. Oppure, che le posso dire? A mia figlia piacevano i polli di Savoca e io molto spesso gli dicevo Angelo, ti dispiace, scendendo, se mi prendi i polli? Erano persone di famiglia”.
Poi si torna a parlare del lavoro del marito. “Mio marito non mi ha mai dato nessuna confidenza, parliamoci chiaro, io ora le dico una cosa che lei mi dirà ma, signora, ma lei cosa sta dicendo? – mette a verbale – Io ora ho saputo, da quando siamo stati indagati, che mio marito faceva il project manager, questa bella parola, perché sapevo che si occupava di comunicazione, stop. Fausto, vai a Roma? Si, vado a Roma. Stop. Ma se lei mi dice: suo marito cosa andava a fare a Roma? Io le dico non lo so, mio marito non mi ha mai dato nessuna confidenza a me, può anche non crederci ma la mia realtà è questa, io sono una donna, forse sono la vera siciliana, di quelle donne ancora terra terra – prosegue – nonostante mi hanno dato un ruolo importantissimo, che mio marito mi deve spiegare questo ruolo che mi ha dato”.
Tutto, dunque, sarebbe stato ad insaputa ad insaputa di Concetta Argento che, però, dei soldi guadagnati dal marito ha beneficiato per evitare il fallimento delle società di famiglia, la Adilat e la Cofrag. Il giudice Luigi Petrucci e il pubblico ministero Maurizio Agnello glielo ricordano e lei ammette: “Lei ha pienamente ragione di quello che mi sta dicendo, in questi due giorni ho pensato solo questo, però il problema è uno, giudice: io a casa mia ci sono stata… io sono arrabbiata con mio marito perché me lo doveva dire, io lo volevo sapere, io non sono un animale, io sono un essere umano, capite? Io lo voglio sapere, tu non mi puoi trattare così che dopo mi viene la Finanza e mi sbattono in galera davanti a due figli… io dico solo questo, lo voglio capire perché lui mi ha fatto questa cosa a me, io non me la merito una cosa di queste da parte sua e lui lo saprà questo, lo deve andare a dire l’avvocato, io sono arrabbiatissima… li ho letti i giornali, ho letto tutto, non si immagina per una moglie che legge queste cose, non sono cose belle, e gli ho chiesto ma che cosa sono tutti questi discorsi? Che mi doveva dire? Mi ha detto no, no. Giudice, perfino le escort gli hanno messo, perfino le escort. E cosa dovevo fare? Noi aspettavamo, io non mi aspettavo l’arresto, io mi aspettavo che si chiarisse questa posizione… ora, da queste carte si evince una situazione terribile, che se per cinque minuti penso a tutto quello che ha di sopra lui, mi viene da impazzire e dico io, che non c’entro niente, penso anche a lui, dico, non lo so giudice”.
L’ultima parte dell’interrogatorio si concentra sui rapporti fra Giacchetto e una serie di indagati nell’inchiesta. Tra questi, alcuni politici e burocrati. Che ci dice di Lo Nigro (Gaspare Lo Nigro ex direttore dell’Agenzia per l’impiego ndr)? “L’ho incontrato alle volte quando andavamo a mangiare a casa di Riggio (Francesco Riggio, presidente del Ciapi anche lui in manette), l’ho incontrato lì. Cascio (il deputato regionale Francesco Cascio ndr), lo conosce? “Sì, siamo molto amici con Cascio, siamo partiti anche insieme, anche perché Cascio con me si conosce dai tempi, ha una casa suo papà a Casteldaccia dove villeggiamo noi”. Che genere di rapporti c’erano con Scoma (il senatore Francesco Scoma ndr)? “Lo conosciamo e lo conosco a Scoma, anche il figlio”. Lei sa se suo marito avesse rapporti di lavoro con queste persone? “No, io non glielo so dire, so che mio marito lo conosceva, è capitato anche di partenze con loro”.
Al termine dell’interrogatorio, anche alla luce della deposizione, l’avvocato Giovanni Di Benedetto, che assiste la donna assieme a Fabrizio Biondo, chiede al giudice la scarcerazione dell’indagata. Detto, fatto. La sua versione deve avere convinto il Gip.