PALERMO – Carenze nella definizione del contratto, onerose consulenze giuridiche su affidamento diretto, lavori avviati in mancanza del progetto esecutivo e senza quindi una chiara stima iniziale dei costi. E ancora, ritardi nello spostamento dei sottoservizi che hanno fatto slittare il completamento dell’opera, varianti non autorizzate subito dal ministero e dal Comune (e quindi non conformi alla contabilità di Stato) e infine errori progettuali per otto milioni di euro non contestati ai progettisti.
C’è di tutto e di più nella durissima relazione sul tram di Palermo stilata dall’Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, il supermagistrato chiamato dal governo Renzi a vigilare anche su Expo 2015, secondo cui “le problematiche rilevate per l’appalto sono molteplici e per lo più legate alla gestione dello stesso in fase esecutiva”. Un atto di accusa talmente grave da spingere l’Authority a inviare tutto l’incartamento alla Procura della Repubblica e a quella regionale della Corte dei Conti, così come previsto dalla legge.
La delibera, datata 30 settembre, nasce da un esposto del comune di Palermo dell’aprile del 2012 (gestione commissariale Latella), firmato dall’allora dirigente all’Ambiente e Mobilità Gabriele Marchese, poi divenuto con Orlando capo di gabinetto e recentemente spedito al costituendo ufficio Contenziosi. Un esposto presentato dopo che il dirigente, vedendosi arrivare uno stato di avanzamento lavori da saldare di oltre 7 milioni di euro, ha deciso di vederci chiaro nell’appalto, segnalando alcune anomalie all’Authority ma anche all’autorità giudiziaria.
E il primo responso, arrivato da Cantone, è pesantissimo e getta ombre su un’opera da oltre 300 milioni di euro che dovrebbe essere completata entro il 2015, pena la restituzione dei soldi all’Unione europea. “Presunte anomalie e difformità”, si legge nella relazione, che hanno portato il Comune a chiedere all’Amat la sostituzione dell’allora Rup Domenico Caminiti (promosso lo scorso novembre a direttore generale della partecipata), avvenuta il 15 dicembre del 2011 con Cammarata. “Comportamenti dell’Amat e del Rup non in linea con la legislazione al tempo vigente, nonché con i principi generali di efficienza, efficacia ed economicità dell’attività amministrativa”, scrive ancora Cantone. Ma andiamo con ordine in questa intricata vicenda e partiamo dal principio.
UN PO’ DI STORIA. Nel lontano 1996 l’Amat, in seguito ad accordi tra il Comune e la Provincia, viene incaricata per l’esecuzione della progettazione e la realizzazione delle tre linee del tram, ovvero Roccella, Leonardo da Vinci e Calatafimi (poi sostituita con le attuali linee 3A e 3B). Un progetto che nel 1997 viene ammesso a finanziamento Cipe e per il quale via Roccazzo aggiudica nel 1998 la progettazione per quasi 1,6 miliardi delle vecchie lire a un raggruppamento di imprese. Per i servizi di consulenze, controllo e sorveglianza sulla progettazione, invece, nel 1999 l’Amat incarica a mezzo gara un altro Rti per quasi 4 miliardi di lire, mentre nel 2000 vengono stipulate consulenze legali per 300 milioni di lire (avvocati Cacace e Orlando per assistenza e consulenza legale per la preparazione della gara per l’affidamento dei lavori di costruzione delle tre linee). Si arriva così a fine 2002 quando Ministero, Amat e Comune siglano un accordo per l’erogazione delle somme, integrato nel febbraio successivo e modificato ancora nel 2006. Intanto nel 2003 Caminiti viene nominato Rup e sempre in quell’anno viene bandita la gara.
Ci si accorge, però, che il progetto, redatto nel 1998, non è più attuale, specie per i costi, e così Amat rivisita il progetto, con tanto di incarico per la riprogettazione della terza linea del tram e del deposito Roccella per 370mila euro. Il progetto definitivo viene validato dal Rup il 4 marzo del 2005. Il 15 marzo successivo il Ministero approva in linea tecnica ed economica il progetto definitivo per un importo pari a 216 milioni di euro (di cui il 60% a carico di Roma e il 40% di Palermo), oltre a 18 milioni a carico di Amat per il global service, ovvero la manutenzione. Sempre nel 2005 il cda aziendale accorda al Rup la stipula di tre contratti di consulenza legale (dopo quelli del 2000) per farsi assistere nella gestione della gara, del contratto e degli espropri (avvocati Armao e Cacopardo, prevedendo compensi a tariffa, e Aurelio Cacace per quasi 150mila euro). La gara viene aggiudicata a un’associazione temporanea di imprese per 191,9 milioni di euro più iva e il contratto viene stipulato nel 2006. I lavori si sarebbero dovuti concludere in cinque anni.
LA VARIANTE. Il problema, però, è che il progetto esecutivo non viene presentato a marzo del 2008, come invece previsto, e in sede di sua redazione vengono apportate numerose modifiche, tanto da convincere a procedere con un’approvazione per stralci: prima Roccella e Leonardo da Vinci e poi Cep e deposito Roccella. Varianti che non sono di poco conto e che valgono qualcosa come 81,8 milioni di euro più iva: riguardano opere civili per i depositi (specie Roccella), comprendono migliorie del sistema o l’adeguamento alle nuove norme o alle condizioni geologiche del terreno (14 milioni), ma contemplano anche lo spostamento dei sottoservizi, ovvero cavi elettrici, telefonici o tubature di vario tipo che bisogna spostare e collocare sotto i binari o altrove (25 milioni). Ci sono anche errori progettuali (8 milioni), richieste ulteriori dell’amministrazione (6,5 milioni) e imprevisti geologici (6 milioni). Ed è proprio sui sottoservizi che si concentra l’Autorità di Cantone. “La problematica dello spostamento dei sottoservizi ha significativamente inciso sull’incremento di costi e di tempi dell’appalto – si legge nella relazione – infatti al tempo di avvio dell’appalto non erano stati sottoscritti specifici accordi e convenzioni con gli enti proprietari dei sottoservizi”. Il quadro economico iniziale prevedeva appena 3,6 milioni di euro per le sottoreti, perché si pensava che gran parte del costo fosse a carico degli altri enti. Ma gli enti in questione (Enel, Terna, Telecom, Wind, Amap e Amg), capendo che le sottoreti andavano spostate e non potevano restare sotto i binari, hanno sì acconsentito al trasferimento ma addebitando tutto all’Amat. Una controversia in cui si inserisce nel 2008 (con due anni di ritardo) anche l’ufficio legale del Comune e, per non fermare i lavori, si decide di cominciarli senza che ci sia ancora il progetto esecutivo, attuando anche le varianti senza che però il ministero (che mette il 60% dei fondi) ne sapesse nulla. Arriviamo così al novembre 2011 quando Roma decide di bloccare l’erogazione delle somme, almeno fino a quando non verrà approvata la perizia di variante da 81 milioni (praticamente quasi un terzo del costo complessivo del tram). Un intoppo che rischiava di mandare gambe all’aria tutta l’opera, così nel dicembre 2011 Amat trasmette il progetto esecutivo. Il costo alla fine schizza a 322 milioni, con il Comune che aveva già anticipato la sua parte coperta poi dalla Regione.
Come se non bastasse, la legge autorizza solo varianti che non modifichino la natura delle opere altrimenti si hanno implicazioni sulla correttezza della gara e sulla libera concorrenza. Ma per l’Autorità, nel caso del tram di Palermo, “sembra che siano state apportate modifiche non solo ad aspetti di dettaglio, bensì alle stesse soluzioni tecniche previste del progetto definitivo”. Varianti dovute anche a una carente valutazione dello stato dei luoghi, come riconosciuto dal nuovo Rup. Inoltre l’Amat non ha potere di spesa: avrebbe dovuto chiedere il consenso di Ministero e Comune. Il Rup non poteva (e nemmeno il cda dell’azienda) approvare le varianti, né autorizzare i pagamenti. E poi c’è la questione del deposito Roccella: nel progetto definitivo manca la relazione geotecnica, indispensabile per l’approvazione.
LE CONSULENZE “Non risulta che siano state effettuate procedure comparative per il conferimento degli incarichi – scrive l’Autorità – per l’assegnazione dell’incarico di consulenza sarebbe stato necessario pertanto il ricorso a procedure ad evidenza pubblica, o quantomeno ‘comparative’, finalizzate ad evitare che la scelta sul collaboratore da incaricare risultasse arbitraria”.
IL PROGETTO ESECUTIVO Secondo la legge, inoltre, un progetto esecutivo deve indicare i lavori da realizzare e indicarne ogni dettagli e costo. Ma secondo l’Autorità la variante da 81 milioni non era altro che il progetto esecutivo: “Di fatto si è proceduto – scrive Cantone – all’avvio dei lavori e le opere sono state eseguite in assenza di un progetto esecutivo compiutamente definito, valutato e approvato da tutti gli enti preposti allo scopo”.
L’Autorità, però, riconosce che “non emergono evidenti profili di illegittimità nella scelta di ricondurre l’appalto alla disciplina di cui al Decreto legislativo 158 del 1995”, anziché applicare la normativa sui lavori pubblici: una discrasia, questa, che aveva spinto Amat a chiedere la rimozione di Caminiti. Una scelta giuridicamente ammissibile, dice l’Autorità, ma da un punto di vista tecnico “l’applicazione della normativa sui lavori pubblici avrebbe permesso una gestione ‘standard’ dell’appalto senza avere l’esigenza di dover ideare una peculiare ‘strategia di appalto’ e predisporre specifiche ‘linee guida’, peraltro poste a cura di onerosi consulenti legali esterni”.
Adesso la delibera andrà pubblicata sul sito del Comune e comunque della vicenda si occuperanno anche Procura della Repubblica e Corte dei Conti. Palazzo delle Aquile, inoltre, è in attesa della sentenza del Tribunale sul terreno espropriato alla Multi Veste per la costruzione del deposito di Roccella: il concreto pericolo è che l’amministrazione debba sborsare altri 4,6 milioni di euro. L’Amat e Caminiti, per il momento, hanno preferito non replicare, anche se la delibera dell’Autorità getta ombre su una delle opere pubbliche più grandi della città.