PALERMO – Faceva un po’ tenerezza, Nino D’Asero. Il capogruppo del Nuovo centrodestra a Palazzo dei Normanni, per una volta, aveva osato un po’. Andando oltre il consueto, cordiale, nebuloso politichese. Aveva fatto un passo più in là, cadendo in fallo. “Perché Crocetta non si è opposto – ha detto – allo scippo dei fondi Pac operato dal governo Renzi?”. Se il governatore fosse stato presente, in quel momento, probabilmente gli avrebbe controbattuto: “Perché a quello scippo non si è opposto Angelino Alfano, che di quel governo è ministro degli interni?”.
Si era smarrito per un attimo, il capogruppo del Nuovo centrodestra. Aveva perso l’equilibrio sul filo sottile. Lì passeggia il suo partito. Tra opposizione e maggioranza. Tra Palermo e Roma. Roba da rischiare una caduta nella schizofrenia.
E del resto, lo stesso Crocetta, in più di una occasione, ha “stuzzicato” i presunti oppositori. “A Roma Alfano sta con Renzi, perché qui non potete sostenere il mio governo?”. Proposta indecente, ma nemmeno tanto. E rilanciata a più riprese dall’ex ministro D’Alia e da altri leader dell’Udc. Liquidata, in passato, dagli alfaniani con un concetto chiaro: “Crocetta non è Renzi”. Peccato che i fatti dicessero altro. Dicevano, ad esempio, che nella giunta di Rosario Crocetta sedeva un assessore per nulla “sgradito” ai nuovocentrodestristi. Patrizia Valenti, infatti, è stata da sempre considerata assai vicina all’ex presidente della Provincia di Catania, Giuseppe Castiglione, sebbene fosse all’interno dell’esecutivo, formalmente, “in quota” Udc.
I centristi di Gianpiero D’Alia e di Giovanni Pistorio, ex braccio destro di Raffaele Lombardo, in effetti con l’Ncd a Roma dialogano. Eccome. Al punto da aver varato una nuova forza moderata. Centrista. Che oggi, però, più che di centro appare “di mezzo”. Gli ultimi sondaggi danno l’accoppiata al di sotto del 4 per cento. In calo persino rispetto al deludente risultato delle elezioni europee, quando alfaniani e centristi hanno corso insieme, superando di poco lo sbarramento (4,38%). Difficile, oggi, pensare di riportate a Roma, dalla Sicilia, in caso di nuove elezioni, lo stesso gruppetto di parlamentari attualmente in carica. I senatori Schifani, Vicari (è anche sottosegretario), D’Alì, Gualdani, Mancuso, Marinello, Pippo Pagano, Torrisi e i deputati Bosco, Garofalo, Minardo, Misuraca e Alessandro Pagano per il Nuovo centrodestra. Eletti con l’Udc dalla Sicilia sono invece solo i deputati Adornato e D’Alia. Tutti uniti, adesso, nella “Costituente popolare” messa su un mese fa.
Uniti a Roma, ma divisi a Palermo. Se gli alfaniani infatti insistono: “Crocetta non è Renzi”, l’Udc è stato proprio il partito che ha lanciato Rosario Crocetta verso Palazzo d’Orleans. Candidandolo per primo, bruciando sul tempo persino il partito del futuro governatore, il Pd. Che in quei mesi Crocetta non lo voleva candidare nemmeno per scherzo. Uniti. Nonostante appena pochi mesi fa si fossero confrontati persino sul tema della mozione di sfiducia al governatore siciliano. Ncd di qua, ad attaccare in maniera responsabile. E l’Udc di là a difendere, ma non in modo acritico, ovviamente.
Attaccare senza offendere. Sostenere senza difendere. In quel limbo, in quella terra di mezzo senza direzioni. Senza punti di riferimento da puntare o da cui scostarsi. Una sorta di Movimento delle anime perse, che paga a caro prezzo la sua indecisione, qui in Sicilia. Dove il Nuovo centrodestra continua a sfornare batterie di coordinatori (al momento sono due il palermitano Francesco Cascio e il catanese Giuseppe Castiglione), ma a perdere consenso, nonostante la visibilità del suo leader, l’agrigentino Alfano. E quasi costretti a tornare a bussare alle porte del Cavaliere.
E dove l’Udc perde pezzi. Dai catanesi Sammartino, Leanza e Nicotra, inizialmente confluiti in Articolo 4, insieme al palermitano Totò Lentini prima della scissione ulteriore del nuovo movimento. Ultimo ad andarsene Nicola D’Agostino, ex capogruppo dell’Mpa di Lombardo ed eletto tra le fila del Partito dei siciliani, era transitato all’Udc. Dopo un anno e mezzo ci ha già ripensato. Quel partito non sa dove andare e ha finito per rischiare una scissione simile a quella dell’atomo, con i fedelissimi di D’Alia da una parte e quelli del presidente del partito Lorenzo Cesa dall’altro. Anche D’Agostino è andato via. Probabilmente verso i lidi più trandy del momento, quelli renziani. I “moderati”, i responsabili di centrodestra invece stanno ancora lì. Tra le nebbie. Persi. Come il capogruppo degli alfaniani all’Ars, Nino D’Asero. Che ha fatto un passo più in là, quando attaccò il governo di Renzi e di Alfano. Con la faccia di chi sembra chiedere: “Qualcuno mi spiega da quale parte stiamo?”.