"Tale e quale show" alla Regione | Era Crocetta, ora è Lombardo - Live Sicilia

“Tale e quale show” alla Regione | Era Crocetta, ora è Lombardo

Prima ha preso gli uomini, poi i metodi, infine l'alibi. Spuntata la retorica dell'antimafia e quella della rivoluzione, il governatore abbraccia il sicilianismo. E adesso è davvero identico al suo predecessore.

PALERMO – Prima ha preso i suoi voti in campagna elettorale. Poi i suoi uomini, lungo il cammino di questa legislatura, scandito dagli inciampi. Quindi le pratiche politiche, i suoi vizi amministrativi. Infine, ha “rubato” anche l’alibi, il pretesto, sul quale ha spalmato una patina di ideologia da hard discount. Adesso, è davvero difficile scorgere una differenza tra Rosario Crocetta e chi l’ha preceduto. Quel Raffaele Lombardo rispetto al quale il governatore gelese avrebbe segnato un solco. Un fossato apparentemente invalicabile. Sul quale, invece, il presidente della Regione ha fatto calare l’ultimo ponte levatoio: una specie di sicilianismo spicciolo, buono per sostenere la “guerra” con le truppe romane guidata da Faraone.

E adesso trovare una differenza è davvero difficile. Un esito, a dire il vero, in qualche modo prevedibile. Già durante la campagna elettorale che ha portato alla vittoria di Rosario Crocetta erano tante e diffuse le voci di un sostegno più o meno “occulto” di politici vicini, fino al giorno prima, a Raffaele Lombardo. Una illazione che ha trovato presto molte conferme a Sala d’Ercole, dove squadre di lombardiani della prima, primissima e ultima ora non hanno esitato a passare dalla parte del nuovo governatore.

Nella maggioranza di Crocetta, infatti, un passato nell’Mpa possono vantarlo Nicola D’Agostino, che del movimento autonomista fu capogruppo all’Ars, Totò Lentini, Giovanni Lo Sciuto (oggi nell’Ncd alleato col governo), Pippo Nicotra, Giuseppe Picciolo, Paolo Ruggirello. Mentre alleati con Lombardo, senza entrare nel suo partito, sono stati anche Pippo Currenti, Edy Tamajo e Michele Cimino. Quest’ultimo, a dire il vero, fu anche assessore nella giunta del governatore di Grammichele. Dove sedeva anche Titti Bufardeci, che Crocetta ha indicato come membro del Cga. Ex assessori di Lombardo. Nei mesi in cui, a guidare l’Mpa dal punto di vista politico-organizzativo era Giovanni Pistorio, attuale assessore di Crocetta, alla Funzione pubblica. Mesi in cui il partito autonomista era spinto dai consensi di Lino Leanza, scomparso improvvisamente quest’anno, dopo aver fondato Articolo 4 prima e Sicilia democratica poi, soggetti politici a sostegno di Crocetta.

A guardar bene anche le giunte del presidente, ecco altri ponti col lombardismo. La figlia dell’assessore all’Agricoltura Rosaria Barresi fu candidata con l’Mpa alle amministrative di Palermo. La stessa Lucia Borsellino ha ricevuto una spinta alla propria carriera all’interno dell’assessorato di Piazza Ziino, proprio in era Lombardo, all’ombra di Massimo Russo. Mentre l’altra intoccabile (fino alle dimissioni, anche nel suo caso) “donna del presidente”, cioè Linda Vancheri, in quei mesi era uno dei più stabili consulenti di Marco Venturi, assessore alle Attività produttive che poi ruppe, sul finire, con Lombardo, così come ha fatto adesso con Crocetta. Con denunce molto gravi, confermate anche da Alfonso Cicero, un fedelissimo di Crocetta fino all’altroieri. E anche lui assolutamente in auge in epoca lombardiana, quando fu scelto come commissario di più Asi, quindi come guida dell’Irsap, appena nato. Non solo. Cicero fu addirittura il candidato sindaco dell’Mpa a Caltanissetta. Altro che rottura, altro che solco. Perché nel sottogoverno (con legittime aspirazioni di ingresso in giunta, auspicato dallo stesso Crocetta) trovi anche Antonio Fiumefreddo, oggi al vertice di Riscossione Sicilia, e in passato (prima anche lui di “litigare” con Lombardo) destinatario di prestigiosi incarichi come quello di Soprintendente del Teatro Bellini di Catania.

Ma il capitolo dei burocrati va raccontato dall’apice in giù. In alto, infatti, c’è Patrizia Monterosso, Segretario generale di Palazzo d’Orleans esattamente come ai tempi di Lombardo, del quale fu anche capo di gabinetto. Stesso ruolo ricoperto da Gianni Silvia, sia col governatore di Grammichele che con quello gelese. Senza contare i vari Dario Cartabellotta (guidò l’Istituto Vite e vino), Luciana Giammanco (al vertice dell’Irsap) e i tanti direttori generali che ieri come oggi sono rimasti a guidare i più importanti dipartimenti della Regione.

Ma al di là dei voti e dei nomi, come detto, Crocetta ha assunto le “pratiche” politiche di Lombardo. A cominciare dai continui ed estenuanti rimpasti. Quello annunciato in queste ore dal presidente rischia di far toccare quota “cinquanta” al numero di avvicendamenti in giunta. Nemmeno il suo predecessore, che in questo fu un recordman, era giunto a tanto. E ovviamente i rimpasti e i ritocchi si traducono anche nell’altra pratica tutta lombardiana, calata nell’era della “rivoluzione”, di “spaccare i partiti”, di dividere per continuare a restare a galla. Se Lombardo operò un vero e proprio ribaltone, Crocetta ha preferito una pratica più morbida, quella del trasformismo diluito, ma che ha comunque portato nella sua maggioranza venti deputati (uno più, uno meno) eletti con l’opposizione.

Ma non solo. L’altro ponte che unisce Crocetta e Lombardo è quello composto dalla lunghissima fila di commissari che hanno finito per guidare, a volte per anni, enti di grande importanza rispondendo solo al governatore al quale erano (e sono) legati da un rapporto fiduciario. Lombardo fu un re dei commissariamenti selvaggi, ma Crocetta non è da meno: dalle 17 aziende della Sanità, passando per le nove province, e attraverso società partecipate, enti regionali di vario tipo, il governatore ha preferito piazzare fedelissimi ovunque. In qualche caso a costo di rinnovare il loro incarico più volte.

Ma la sovrapposizione totale, al netto delle vicende giudiziarie, si compirà in questi giorni. E i primi segni sono già emersi nella retorica del presidente e di chi improvvisamente, dopo mesi di attacchi fortissimi, si è scoperto in sintonia con Crocetta. Naufragata clamorosamente, tra veleni e contraddizioni, l’ideologia dell’antimafia dei pennacchi, finita tra gli spot e gli annunci a vuoto quella della lotta alla manciugghia e alla casta, esauritasi la retorica della rivoluzione che si è tramutata presto in restaurazione, ecco fare capolino il nuovo alibi per restare a galla. Da giorni, infatti, il problema è diventata la Capitale, quel governo nazionale che avrebbe, nei confronti dell’Isola, un atteggiamento spietato. Il nuovo sicilianismo da supermercato è già stato tirato fuori anche nella dialettica feroce con pezzi del Pd che si rivedono nell’area renziana e in particolare in Davide Faraone. La Sicilia contro Roma. Quelli che difendono i siciliani e quelli che stanno con lo “straniero”. Ecco il nuovo pretesto. Benedetto già dall’asse ricostituito che porta i volti di Antonello Cracolici e Beppe Lumia. Già, proprio gli stessi che hanno portato il Pd alla corte di Raffaele Lombardo, il governatore autonomista. Gli stessi che hanno litigato col Pd romano, pur di difendere la scelta di formare un governo politico col presidente già indagato per mafia. Gli stessi che oggi dicono, in coro con Crocetta: “Tra la Sicilia e Roma, scelgo la Sicilia”. Come faceva Lombardo.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI