Ogni ricorrenza è un’occasione per fare bilanci. Nel giorno simbolo della rivendicazione dei diritti femminili si può dire che se tanta strada è stata fatta sono numerosi i passi ancora da compiere per affermare il rispetto paritario delle donne e la garanzia della loro incolumità, della loro dignità; in una parola, della loro vita.
Quasi per paradosso, in una società ormai impegnata a garantire la presenza femminile nel mondo delle istituzioni e della politica, quale principio fondante e non come eccezionale “quota”, che interviene incisivamente con regole che garantiscono l’affermazione della democrazia paritaria, la questione femminile sembra giocarsi su un piano differente e, in una società occidentale, quasi inimmaginabile.
I numeri parlano chiaro: le vittime sono giovani donne o madri tra i 25 e i 54 anni, nel 30% del totale degli omicidi. La violenza di genere non è un fatto isolato, ma costituisce una drammatica realtà sociale, che affonda le sue radici nell’ansia di alcuni uomini, non più in grado di accettare la sempre maggiore indipendenza delle donne, considerate perciò meritevoli di una punizione con mezzi violenti, specialmente se hanno tentato di reagire.
La legge sul femminicidio persegue duramente l’uccisione delle donne con pene severe e nuove misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica. E’ un segnale forte, ma da solo, temo, non basta.
Quel che ancora manca in Italia è una cultura da declinare “al femminile”, a partire dal lessico. Ancora oggi, infatti, persino il modo di offendere una donna è diverso rispetto a quello riservato a un uomo. Una donna non è “incompetente”, “ignorante” o “incolta”, ma è, comunque, qualcos’altro: l’insulto ad una donna è quasi sempre a sfondo “sessista”.
Il modo consueto per umiliare una donna, impegnata nelle professioni o nella politica, è quello di colpirla nel suo essere donna, nell’ingenerare il sospetto che dietro ogni successo professionale al femminile si celi uno scambio.
Chi dovrebbe dare l’esempio e magari dedica, a parole, grande spazio alla democrazia di genere e all’uguaglianza di opportunità tra uomini e donne, finisce per rappresentare, alla prova dei fatti, un esempio in negativo.
Nei palazzi del potere si consumano spesso attacchi di inaudita violenza verbale nei confronti delle donne, come testimoniano talune recenti ed esecrabili cronache delle aule parlamentari, dove alcuni deputati della Repubblica hanno pensato di “arricchire” i propri argomenti con pesanti ingiurie a sfondo sessuale nei confronti di alcune colleghe di diverso partito.
L’impressione è che il grande lavoro intrapreso per cambiare il volto del nostro Paese, attraverso il pieno coinvolgimento femminile nei processi decisionali, primario obiettivo della più recente legislazione in tema di pari opportunità, rischia di subire bruschi rallentamenti a causa di vere e proprie “crisi di rigetto” nei confronti di un modello sociale fondato sulla effettiva parità fra uomo e donna.
Occorre, allora, un ulteriore cambio di mentalità, che va incoraggiato con l’ausilio dei mass-media, delle famiglie e della scuola, che devono farsi carico di infondere alle nuove generazioni la cultura del rispetto e dell’eguaglianza tra il genere femminile e quello maschile.
Un Parlamento più “rosa” di sempre e una squadra di governo composta per la metà di ministri donna, stride fortemente con il Paese reale, in cui una percentuale elevatissima di donne rinuncia, addirittura, a cercare un impiego e con il tasso di disoccupazione femminile tra i più alti d’Europa: ma si tratta certamente di una buona notizia per il traguardo della democrazia paritaria.