Verbali “aggiustati”, indagini su cui grava l’ombra del depistaggio, veri e falsi pentiti e undici ergastoli definitivi che un probabile giudizio di revisione potrebbe mettere in discussione, come ammette implicitamente lo stesso Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari quando afferma che sette persone condannate “probabilmente non hanno nulla a che vedere con la strage”. Sullo scenario di via D’Amelio, teatro dell’attentato che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e a cinque agenti di scorta, si affacciano nuovi personaggi che potrebbero riscrivere la storia dell’eccidio. A cominciare da Gaspare Spatuzza, che si é autoaccusato della strage, le cui dichiarazioni vengono definite da Lari “attendibilissime anche se non gli hanno riconosciuto il programma di protezione”. E investigatori sospettati di avere estorto confessioni e accuse.
Ma sulla scena tornano anche a comparire vecchi protagonisti al centro di roventi polemiche. Come Vincenzo Scarantino, spacciatore del quartiere palermitano Guadagna, che con le sue rivelazioni ha decretato la condanna al carcere a vita di undici persone, l’uomo delle ritrattazioni clamorose. Mai preso sul serio dai legali di alcuni imputati, fu ritenuto credibile, allora, dalla Procura di Caltanissetta che sulla sua verità ha istruito due processi che hanno portato a decine di ergastoli.
A distanza di anni, però, la stessa Procura, che ora ha riaperto l’indagine sulla strage, ha deciso di fare chiarezza sulla gestione dell’ex collaboratore. Ed è partita da un verbale del ’94 visibilmente ‘taroccatò. Qualcuno tentò di indurre Scarantino a mentire? E chi?, si chiedono i magistrati che, proprio sul presunto depistaggio hanno iscritto nel registro degli indagati alcuni poliziotti del pool Falcone-Borsellino, all’epoca guidato da Arnaldo La Barbera, interrogati in questi giorni in Procura. Domande che i magistrati fanno a distanza di 18 anni dalla strage, ma che non sono affatto nuove. Se le facevano gli avvocati che hanno assistito prima al pentimento di Scarantino, avvenuto subito dopo l’arresto, poi alla sua ritrattazione in aula del 1998 e infine alla ritrattazione della ritrattazione, nel 2000. In prima fila, ad esprimere dubbi sul collaboratore c’era, allora, l’avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore di quattro degli 11 imputati che grazie alle dichiarazioni di Scarantino sono stati condannati all’ergastolo. E ancora l’avvocato Piero Milio, morto qualche giorno fa, che, da senatore della lista Pannella, nel febbraio del ’99, presentò un’interrogazione al ministro della Giustizia proprio sul verbale ‘aggiustato’ del ’94. A suscitare gli interrogativi di Milio furono le annotazioni a margine del verbale scritte da un poliziotto che, interrogato dai giudici del Borsellino bis, sostenne di averle fatte su input del pentito. Vecchi dubbi che tornano attuali ora che contro la “verità” di Scarantino ci sono le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che, autoaccusandosi della fase preparatoria della strage, smentisce tutta la versione dell’ex pentito. Uno scenario complesso che potrebbe finire davanti ai magistrati di Catania, competenti in un eventuale giudizio di revisione dei processo Borsellino 1 e bis. A chiedere la revisione dei dibattimenti limitatamente alle posizioni degli imputati, tirati in ballo, appunto, da Scarantino, oltre ai difensori interessati, potrebbe essere anche la Procura Generale di Caltanissetta, da qualche settimana guidata da Roberto Scarpinato, ex pm a Palermo. Secondo indiscrezioni, già nelle prossime settimane la procura nissena dovrebbe trasmettere alla Procura Generale le “prove nuove”, come le dichiarazioni di Spatuzza, che ridisegnando la storia dell’eccidio, potrebbero cancellare verità processuali che sembrano acquisite.
Fonte Ansa