Il pizzo pagato con regolari fatture per servizi e forniture mai resi: oltre alla “tassa” mafiosa gli imprenditori a Ficarazzi, paese alle porte di Palermo, corrispondevano anche quelle allo Stato, attraverso il versamento dell’Iva, con una procedura che era diventata ormai un’abitudine. Quasi come se le estorsioni fossero un normale “costo d’azienda”. Il meccanismo è stato scoperto dai carabinieri che questa mattina hanno eseguito, nell’operazione chiamata in codice “Iron man”, otto ordini di custodia cautelare. Un blitz che ha anticipato anche lo scoppio di una possibile guerra di mafia. Uno degli arrestati, Giovanni Trapani, 54 anni, indicato come l’attuale reggente della famiglia mafiosa di Ficarazzi, proprietario di una impresa di movimento terra, doveva infatti guardarsi dall’ “assalto” di Atanasio Alcamo, palermitano di 34 anni, titolare di una ditta di infissi. Alcamo, secondo i militari coordinati dal procuratore aggiunto Ingazio De Francisci, aveva intenzione di sfruttare il vuoto di potere provocato dal blitz Perseo che nel 2008 aveva decapitato il vertice della famiglia di Bagheria da cui Ficarazzi dipende. Ma la scalata di Alcamo avrebbe disorientato anche gli imprenditori, costretti a pagare due volte la protezione dei boss. Uno di loro, un costruttore, spiega senza sapere di essere intercettato di avere pagato il pizzo a Trapani con regolare fattura. “Gran cornuto che è – dice – E’ venuto due volte a farmi fatture cinquemila e cinquemila, levando l’Iva ottomila e duecento. Gran cornuto è venuto per Pasqua e gli ho detto non te li ho dati? Passa a Natale gli ho detto”. Ma poi si era presentato anche Alcamo: “Ora il ferraro vuole pizzo”, si legge nelle intercettazioni. Così, attraverso il lavoro paziente degli investigatori, sono stati scoperti diversi imprenditori che pagavano il pizzo con regolarità, in una realtà periferica dove non si è ancora affermata la volontà di denunciare gli estorsori. “La provincia è più conservatrice, più chiusa della città – ha detto De Francisci – Se a Palermo capita di imbattersi in un imprenditore che denuncia le richieste di pizzo, lontano dal capoluogo è tutto più complicato”. Tanto che gli imprenditori, vittime di danneggiamenti e pestaggi, all’inizio hanno provato a negare perfino l’evidenza. Ecco perché, secondo De Francisci, “va riproposto con forza a tutti l’invito a collaborare. Non ci sono altre strade”.
(Ansa)