PALERMO – “C’è un acutizzarsi dell’insofferenza verso il potere esercitato dalla frangia corleonese di Cosa nostra, in passato garanzia di massima coesione verticistica e la cui autorità, sebbene spesso criticata, finora non era mai stata messa apertamente in discussione”. Lo scrive la Dia nella sua relazione semestrale relativa al periodo gennaio-giugno 2016. Si nota anche il fenomeno dell’inabissamento “che – spiega la Dia – non è da intendersi come depotenziamento, quanto piuttosto una, seppur forzata, scelta strategica di sopravvivenza finalizzata a sottrarsi alla pressione dello Stato, gestendo in maniera silente gli affari interni ed esterni”.
Proprio per questo, l’organizzazione si sarebbe specializzata nel controllo e nella fornitura di beni e servizi di varia natura, adottando una “strategia di mercato” selettiva, tendenzialmente mirata a soddisfare le puntuali esigenze del mercato criminale. Da riscontri d’indagine e da nuove collaborazioni, è emersa la fotografia di un’organizzazione con una propensione ancora verticistica, ma nei fatti multipolare, che si avvale di molteplici centri di comando, in cui si rilevano sconfinamenti, indebite ingerenze, candidature autoreferenziali e, ancor più, la tendenza di famiglie e mandamenti ad esprimere una maggiore autonomia. In quest’ottica, “le consorterie trapanesi – aggiunge la Dia – sembrano aver aumentato la propria influenza nel palermitano e, in genere, nella complessiva governance dell’organizzazione criminale. Infatti, nella provincia di Trapani, cosa nostra presenta connotazioni di maggiore coesione e impermeabilità e, più che altrove, sembra conservare un modello organizzativo compatto, retto dalla leadership del noto latitante, nonché una forte capacità di condizionamento ambientale”.
Il racket delle estorsioni, sia nella provincia di Palermo che nel capoluogo continua invece a rappresentare una risorsa fondamentale per il mantenimento stesso dell’organizzazione. “Emblematica – dicono gli inquirenti – l’operazione Maqueda grazie alla quale sono state ricostruite le condotte illecite di un gruppo criminale, capeggiato da tre fratelli, che esercitava il controllo dello storico quartiere Ballarò nei confronti di commercianti extracomunitari (soprattutto appartenenti alla comunità del Bangladesh), vittime non solo di estorsioni, rapine ed atti di ritorsione di ogni genere, ma anche di angherie e soprusi”. “In stretta connessione con il fenomeno estorsivo – aggiunge la Dia – continua a porsi il settore dei prestiti ad usura, anch’esso importante mezzo di finanziamento illecito e indice del volume dell’economia sommersa gestita dalla criminalità organizzata. Tra tutti, il mercato degli stupefacenti, il cui epicentro regionale può essere stabilito nella provincia di Palermo, dove viene gestito direttamente da sodali o personaggi contigui all’organizzazione mafiosa, continua a rappresentare un canale privilegiato di reinvestimento e moltiplicatore di capitali illecitamente accumulati. In tale settore Cosa nostra opera, insieme a ‘ndrangheta e camorra, in un sistema criminale integrato, in cui ciascuna organizzazione mantiene saldo e inalterato lo stretto legame con il proprio territorio”.