Andrea Roncato, dalle visite a Catania a "L'allenatore nel pallone"

Andrea Roncato, dalle visite a Catania a L’allenatore nel pallone

Intervista a cuore aperto parlando di Guccini e Banfi. Fino a Moana Pozzi.

CATANIA. Sei nato a San Lazzaro di Savena nel ’47, quali sono state le tue sensazioni quando hai visitato per la prima volta la Sicilia, Catania nello specifico? Era così diversa dalla realtà in cui eri cresciuto tu?

In Italia siamo tutti uguali e diversi, nel senso che ogni regione ha il suo  territorio, le sue abitudini, i propri dialetti, che cambiano anche nelle stesse regioni. Ho visitato la Sicilia per la prima volta abbastanza tardi, ma poi ci sono stato tante volte, perchè sono stato a fare spettacoli da Tindari, a Segesta, a Catania, a Siracusa. La prima vera volta però fu a Siracusa, dove ho fatto il militare.
Da Bologna, per la prima volta facevo un viaggio di parecchie ore per arrivare così lontano da casa.
All’inizio fu una forma disperata di allontanamento dai miei affetti e dalle mie abitudini.
Poi invece, giù a Siracusa, ho trovato un ambiente bellissimo, si stava bene, si mangiava bene e la gente era molto cordiale.
Ho tanti amici addirittura oggi giù che se non li avviso quando vengo in Sicilia, per venirmi a prendere all’aeroporto, si offendono.

Ti sei laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna, ma poi ad attenderti c’era il mondo dello spettacolo. E’ stata una scelta del destino o l’hai fortemente voluto?

Io ho sempre avuto in mente di fare spettacolo, sin da bambino. Quindi facevo tutto, dalle commedie parrocchiali a qualsiasi cosa che potesse essere spettacolo. Suonavo ad esempio l’organo in chiesa, perchè io ho fatto anche il conservatorio, ed era anche quello un modo per esibirsi. Andavo anche a suonare ai matrimoni per guadagnare i miei primi soldi. Avevo la passione del canto e della comicità,  seguivo il gruppo dei “Gufi”, e poi con Gigi, che aveva le stesse caratteristiche, nel senso che anche lui aveva fatto l’Università ed era professore di pedagogia, ma suonava anche la chitarra, ed insieme, io suonavo il pianoforte, ci esibivamo cantando i pezzi dei “Gufi”, con qualche battuta in mezzo e qualche battuta sceneggiata, e pian piano l’impegno è diventato sempre più grande.
Cantavamo insieme anche in un coro di canzoni popolari di montagana, che si chiamava “il coro Stelutis”, frequentato anche da Francesco Guccini.
Quando noi provavamo, o il martedì o il venerdì, poi ignuno di noi faceva qualcosa: c’era chi sapeva suonare la chitarra classica, Gigi ed io faevamo i nostri sketch, Guccini cantava le sue canzoni.
Ci faceva sentire in anteprima le canzoni nuove che aveva scritto e fu proprio lui, quando aprì un’osteria di cabaret a Bologna che si chiamava “Osteria delle Dame”, dove lui si esibiva ogni due o tre volte al mese, che prevedeva uno spettacolo di cabaret tute le sere, a chiederci di andare a fare degli spettacoli da lui e noi cominciammmo lì a fare le nostre cose e poi pian piano cominciammo a farle fuori da Bologna, in Emilia-Romagna, ma anche a Milano, al “Reflettorio”, finchè non ci vide Sandra Mondaini che ci volle con lei a fare spettcoli in tutta Italia e lavorammo tre anni con lei e poi ci portò in televisione.

Per anni hai fatto coppia fissa con Gigi Sammarchi, cos’ha incrinato professionalmente quello che sembrava un duo indistruttibile? Siete ancora amici?

Io e Gigi siamo ancora adesso amici, anzi abbiamo tre o quattro spettacoli in previsione. In teatro lavoriamo ancora assieme, nel cinema non è stata una scelta e non c’è stato un litigio, perchè quando tu sei un comico e cominci a fare film in realtà non interpeti un ruolo, non fai l’attore, ma interpreti te stesso.
Zalone ad esempio fa Zalone al cinema. Anche noi al cinema noi eravamo sempre “Gigi e Andrea”.
Essere attori vuol dire invece intepretare un ruolo, che una volta può essere comico, un’altra volta può essere drammatico, un’altra volta puoi essere il cattivo, si interpretano cioè dei ruoli diversi da se stessi.
Ci sono delle cose che si fanno come comici che hanno successo, ma bisogna saper smettere al momento opportuno, per non stancare la gente, anche al cinema, perciò una volta fatti tutta una serie di film che era possibile fare assieme, abbiamo deciso di smettere di farli assieme, perchè sennò i nostri film sarebbero stati etichettati sempre come “Gigi e Andrea”.
Io volevo fare l’attore, quindi ho continuato a fare delle cose per conto mio fino, ad arrivare a lavorare con registi come Muccino, Virzì, Avati, interpretando  anche ruoli drammatici, proprio perchè mi piace fare l’attore.

Nell’’84 esce al cinema un film cult del cinema comico italiano, “L’allenatore nel pallone” di Sergio Martino. Tu sei uno dei protagonisti del cast. Che ricordo hai di quell’esperienza unica?

Per noi era una grossa esperienza, nel senso che anche se avevamo appena iniziato ed eravamo già conosciuti, ci siamo trovati a lavorare con un mostro sacro come Lino Banfi, che allora era nel pieno del suo successo, per di più in un territorio che non era il solito territorio italiano ma Rio, in Brasile, quindi fu un’emozione grande.
Per noi era l’inizio di una carriera superiore, oltretutto parlavamo di un argomento che sapevamo che in Italia avrebbe funzionato, perchè gli italiani per il calcio stravedono.

Nell’’85 hai avuto una relazione, se pur breve, con Moana Pozzi, conosciuta sul set del film “I pompieri”. Ti va di condividere con noi il ricordo che hai di questa donna straordinaria?

Lei era una donna veramente straordinaria, una donna che sapeva paralre di qualsiasi cosa, dal calcio a Shakespeare o a Socrate, una donna intelligente, di un’enorme personalità e carisma.
Quando l’ho conosciuta io faceva l’attrice e poi ha deviato per un altro genere di spettacolo, non so per quale motivo, però era una persona che se faceva una cosa la faceva a ragion veduta, quindi evidentemente a lei piaceva così.
Pace all’anima, sua dov’è adesso. Con me ha avuto questa storia e devo dire che è stata anche molto carina, perchè nel suo libro mi ha dato un voto alto come amante e un grande giudizio su di me.
Moana è stata una grande persona, indipendentemente da me e da tutte le altre persone che ha conosciuto.

Il 17 dicembre del 2010 è uscito il tuo libro dal titolo “Ti avrei voluto”, in cui racconti a cuore aperto la possibilità che ti sei negato di diventare  padre. E’ stato difficile per te raccontare un aspetto così intimo e privato della tua vita?

Non è stato difficile, perchè io racconto sempre tutto di me. Credo che il pubblico che ti aiuta ad andare avanti e che ti vuole bene meriti che tu sia sempre sincero, sia quando fai bene, sia quando fai male.
Il pubblico deve sapere di te le cose belle e le cose brutte, compresi gli errori, perchè glielo devi. Io ho sempre detto che uno dei miei rimpianti è quello di non avere avuto figli, ma perchè non li ho voluti.
Era un periodo in cui avevo da fare, il lavoro mi prendeva tantissimo tempo e non li ho voluti. Poi col senno di poi, o quando col passare degli anni diventi più maturo, capisci il valore di certe cose. Ecco perchè ho fatto un libro dedicato ad un bimbo che non ho voluto.
Come tanti anni fa, esattamente ventisette anni fa, quindi quasi una vita fa, per un paio d’anni ho frequentato gente che si drogava e l’ho fatto anch’io, ma poi chiaramente, sentendo che era una cosa che non andava bene, smisi subito di mia spontanea volontà, senza aiuti, senza niente, soltanto con l’aiuto del mio cervello, e lo dissi anche in televisione, ma con l’intento di dare un buon messaggio ai giovani: ragazzi non fatelo, perchè è una grande *azzata!

Samuel L. Jackson una volta ha dichiarato che ha sempre scelto i copioni in base ai suoi gusti di quando era ragazzino, di quando tornava a casa e con i suoi amici facevano finta di essere protagonisti dei film che avevano visto. Tu da cosa sei mosso quando ti trovi a dover scegliere se accettare o meno un copione?

Io prima di tutto guardo la storia, se mi piace. All’inizio guardavo al successo che poteva avere il film.
Adesso guardo la storia e guardo soprattutto gli attori che lavoreranno con me, perchè più bravi sono loro, se sono tutti più bravi di me, ci guadagnerò io, perchè lavorando con gli attori bravi fai sempre bella figura. Ad esempio adesso sto facendo sei puntate per una serie Sky prodotta da Cattleya e con me recitano Micaela Ramazzotti, Stefano Accorsi, Ottavia Piccolo, quindi tutti attori bravissimi ed in mezzo a loro non puoi fare altro che bella figura, perchè lavorare con un attore bravo ti dà una mano,  nel senso che se tu giochi a tennis con un campione perderai, però magari ti riescono due o tre colpi che sembri un campione anche tu. Se tu giochi contro una schiappa vinci, ma sembri una schiappa anche tu.
Quindi è sempre meglio avere intorno gente che consideri più bravi di te, perchè ti possono solo dare una  mano e far fare bella figura anche a te.


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