Apocalisse? La salvezza del pianeta è una crescita ecocompatibile

Apocalisse vicina? La salvezza del pianeta è una crescita ecocompatibile

La grande responsabilità della collettività

Un documentario shock della TV pubblica svizzera Rsi ipotizza una catastrofe imminente, causata dall’eruzione dei Campi Flegrei e illustra, con ricostruzioni animate, la distruzione di Napoli sommersa da trenta metri di materiale vulcanico.

Gli intervistati, sostenendo che l’eruzione potrebbe verificarsi in qualsiasi momento, e sarebbe devastante, contraddicono le ipotesi del Piano di evacuazione nazionale. Gli esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, commentando il reportage e la messe di servizi televisivi che lo rilanciano, affermano che non è basato su dati.

La preoccupazione dei Campi Flegrei

Pur ribadendo che i Campi Flegrei sono la più grande caldera urbanizzata attiva nel cuore del continente europeo, e che già “dal 2005 è interessata dal fenomeno bradisismico che causa il sollevamento del suolo, terremoti ed emissioni fumaroliche”, asseriscono che la caldera è monitorata da un sistema multiparametrico continuo, i cui dati “non mostrano evidenze dell’imminenza di una eruzione vulcanica”.

Certamente, però, una futura eruzione ai Campi Flegrei, data la pericolosità vulcanica e il rischio enorme per una delle aree più antropizzate al mondo, provocherebbe una Apocalisse: su questo sono tutti d’accordo.

The final countdown

Penitenziàgite! direbbe a gran voce Salvatore, il dolciniano frate de “Il nome della Rosa”, invitando a fare penitenza perché il Regno dei Cieli è vicino. E, meno evangelico ma altrettanto efficace, it’s the final countdown, cantava Joey Tempest degli Europe, dando l’addio alla Terra già una quarantina di anni fa.

Oggi che il conto alla rovescia dei destini umani è legato al collasso dei sistemi antropologici e ambientali, la sensazione di correre verso l’autodistruzione è sempre più percepibile. Quello che stiamo vivendo potrebbe essere l’ultimo secolo della storia dell’umanità.

L’autodistruzione del mondo

Secondo l’astrofisico Martin Rees, la probabilità che il genere umano distrugga se stesso e il mondo che lo circonda entro i prossimi cento anni è addirittura pari al 50%.

Our final hour racconta come l’umanità rischi di autodistruggersi a causa dei pericoli della tecnologia, più gravi di quelli di una catastrofe nucleare, e dei violenti attacchi all’ambiente sferrati dalle attività umane, peggiori di ogni calamità naturale.

Il futuro infinito, la sfida

La sfida del ventunesimo secolo è il futuro infinito: questo tempo sarà pieno di vita o vuoto primordiale? Il crollo delle Twin Towers di New York del fatidico 11 settembre 2001, terribile ingresso nel nuovo secolo, ha introdotto l’ossessione della fine. E, al di là dei venti di guerra, gli attuali modelli di sviluppo economico sono insostenibili.

Lo spreco delle risorse danneggia interi popoli, provoca conflitti etnici e religiosi, produce alterazioni climatiche irreversibili, minaccia la sopravvivenza dell’umanità. Che sia davvero prossima l’Apocalisse?

Nelle lingue occidentali, apocalisse (svelamento) indica la fine del mondo, e deriva dall’ellisse del sintagma apōkalýpsis éschaton, ovvero “rivelazione degli eventi della fine dei tempi”.

Le profezie

Il titolo dell’ultimo libro della Bibbia, il Libro della Rivelazione, o Apocalisse di San Giovanni apostolo, viene quindi interpretato come la profezia della fine del mondo, capostipite di un genere letterario apparso nei primi secoli dopo Cristo.

Nella letteratura di ispirazione apocalittica gli accadimenti, spesso collegati a profezie, non sono facilmente scandibili a livello temporale; si fa riferimento al futuro per parlare del presente e mentre si descrivono scenari di nera crisi, ci si aggrappa alla speranza del trionfo del bene sul male, della luce sul buio.

Pienamente in accordo col significato originario del termine, viviamo un tempo apocalittico, solo che le rivelazioni non vengono da profeti, ma dalla pericolosa arroganza che ci ha portato sull’orlo dell’estinzione.

La paura della fine del mondo

La paura della “fine del mondo” esiste da sempre, ma gli strumenti contemporanei le conferiscono una concretezza inusitata.

Lo storico Lucian Boia nel best-seller “Fine dell’Occidente? Verso il mondo di domani”, sostiene che non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo. “Un mondo tramonta e s’intravedono, come attraverso una cortina di nebbia, le forme confuse di un mondo nuovo”.

Come già accaduto dopo il crollo dell’Impero Romano, l’Occidente tramonta perché ha portato a termine la sua missione: l’invenzione di una società tecnologica e l’unificazione del mondo nel proprio modello.

L’ultima chance di salvezza

Al di là di ogni ipotesi il futuro rimane sconosciuto. Possiamo solo vivere il presente, per quanto complesso e insicuro sia. La civiltà occidentale, se non vuole sottoscrivere la propria scomparsa, deve “ritrovare fiducia in sé e riscoprire il gusto dei grandi ideali che una volta l’hanno messo in moto”.

Il punto è se sia in grado di farlo. La condizione del presente diffonde, piuttosto, la consapevolezza dell’apocalisse. Fin qui, l’uomo ha interagito con l’ambiente modificandolo o distruggendolo. Ormai l’unica chance di salvezza è una crescita ecocompatibile.

Una grande responsabilità è data alla collettività, come al singolo: farsi carico anzitutto della tutela della
natura per salvarla e per salvarsi, riconciliarsi con l’ambiente, restituirgli le riserve animali e naturali che gli sono proprie. Ricreare una condizione di equilibrio richiede profondi cambiamenti negli stili di vita. Distruggere o preservare, la scelta è nostra.


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