Beni confiscati: seconda impresa |648 dipendenti e 1286 ettari - Live Sicilia

Beni confiscati: seconda impresa |648 dipendenti e 1286 ettari

I dati sono stati elaborati dal "Gruppo Misure di Prevenzione della Dda di Catania in collaborazione con la Dia". LE FOTO

Dipendenti impiegati nelle aziende confiscate (CLICCA PER INGRANDIRE L’ELENCO)

CATANIA – Beni confiscati: alla mafia sottratto, a livello provinciale, un decimo del territorio della città etnea pari a 1286 ettari. Le cifre, che si riferiscono all’estensione dei terreni confiscati negli ultimi sei anni, sono da capogiro: 12,86 km quadrati che equivalgono, a occhio e croce, al centro storico della città etnea (dal Fortino al Villaggio Dusmet). Ma c’è un altro dato che non può lasciare indifferenti: il gruppo d’imprese confiscate dall’autorità giudiziaria di Catania (fino al 31 dicembre 2013) è il secondo a Catania per numero di impiegati con 648 lavoratori tra le realtà economiche cittadine e il quarto a livello regionale. Le cifre elaborate dal “Gruppo Misure di Prevenzione della D.D.A. di Catania in collaborazione con la D.I.A. di Catania” sono state illustrate dai magistrati dell’Anm durante la giornata nazionale per la giustizia.

Elenco delle aziende sequestrate e confiscate (CLICCA PER INGRANDIRE)

L’elenco delle aziende è decisamente lungo. Diverse sono le tipologie di aziende confiscate o sequestrate: imprese agricole e di trasporti in primis, che coprono una porzione di territorio provinciale ampio che comprende le campagne di Ramacca (l’azienda Di Dio), Vizzini (“Callaro”) e Trappeto (le attività del gruppo D. C. – queste le iniziali -). Le attività dei vari gruppi imprenditoriali (Monaco, Gli Ulivi Srl, D’Emanuele) erano inoltre ramificate fino a coprire i territori di Aci Trezza, Riposto e Sant’Anastasia, le imprese agricole di Scinardo le campagne di Aidone, l’impresa di costruzioni di Basilotta lavorava pure nel palermitano. Scorrendo la lista delle imprese si leggono nomi di rilievo della cupola mafiosa catanese e della presunta imprenditoria collusa: Vincenzo Basilotta (220,00 ettari confiscati), Rosario Di Dio (41,00 ettari sequestrati), Mario Scinardo (825,00 ettari in via definitiva), D. D. C. (2,12 ettari).

Al netto dei risultati e dell’enorme patrimonio acquisito, però, c’è una riflessione che puntualmente si ripropone, quella sul funzionamento della macchina organizzativa relativa al riutilizzo dei beni a scopo sociale. Assodata la centralità del contrasto patrimoniale alle mafie, stabilito dalla legge Rognoni-La Torre del 1982, rimangono da sciogliere alcune criticità legate al parziale riutilizzo (elemento di valore sociale e culturale) dei beni confiscati.

Un campanello d’allarme è legato alle cifre fornite dall’Agenzia nazionale e dal Ministero della Giustizia: soltanto la metà degli immobili confiscati definitivamente sono stati destinati a fini sociali. I dati sono di respiro nazionale, anche se le attività confiscate riguardano per l’89% “le regioni a maggiore incidenza criminale”: il 42,6% (5.515 beni) in Sicilia, il 14,8% in Campania (1.918 beni), il 13,9% in Calabria (1.811 beni), il 9,2% in Lombardia (1.186 beni), l’8,7% in Puglia (1.126 beni). “Il 50% di immobili confiscati sono ancora a disposizione dell’Agenzia nazionale (in gestione) e il 90% delle aziende cessa la sua attività nella fase del sequestro (circa il 70%) o dopo la confisca (circa il 20%)”. C’è in primis un problema di risorse da stanziare, strumenti utili a invertire la rotta del binomio “giustizia-costo” in termini di “giustizia-risorsa”.

Si tratterebbe insomma di un investimento in grado di recuperare immobili, aziende e di posti di lavoro (non pochi come indicano i dati locali). Una strada potrebbe essere l’utilizzo (come sostiene Magistratura democratica) di una minima parte delle consistenti somme (in buona parte congelate) che affluiscono al Fondo Unico Giustizia (istituito nel 2008 con l’obiettivo di farvi confluire il denaro contante e i titoli Bot, CCT, sequestrati, confiscati o comunque presenti a vario titolo nell’ambito di procedimenti giudiziari civili, penali e amministrativi) “per recuperare i beni immobili confiscati da riutilizzare a fini sociali e per sostenere le aziende sequestrate e confiscate che spesso sono costrette a chiudere per mancanza di liquidità o di finanziamenti”.


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