Calci, pugni e colpi di casco | Così punirono l'abusivo del pizzo - Live Sicilia

Calci, pugni e colpi di casco | Così punirono l’abusivo del pizzo

L'ultima indagine sul racket, condotta dagli agenti della polizia di Palermo, scatta la fotografia di una città soffocata dalle estorsioni e oppressa dalla violenza di gruppi criminali che si muovono agli ordini dei nuovi boss.

PALERMO – “Mi hanno picchiato. Ho un occhio tutto perso… ho l’occhio perso… mi hanno preso a colpi di casco”. Attilio Di Stefano portava addosso i segni del pestaggio. Massacrato a calci, pugni e colpi di casco per avere osato chiedere il pizzo senza autorizzazione al titolare di una rosticceria. L’ultima inchiesta sul pizzo a Palermo ci consegna la fotografia di una città soffocata dal racket e oppressa dalla violenza di gruppi criminali che si muovono agli ordini dei nuovi boss.

Di Stefano è uno dei quattro arrestati del blitz della Sezione criminalità organizzata della Squadra mobile. Gli altri sono Piero Oriti Misterio, Eugenio Donato e Vincenzo Giudice. Le recentissime indagini dei carabinieri piazzano Giudice nel triumvirato che avrebbe retto il mandamento di Pagliarelli. Ma è anche il titolare del bar all’interno dell’ospedale Civico, oggi sotto sequestro, e non avrebbe gradito la concorrenza del nuovo negozio di gastronomia.

Gli uomini del pizzo si presentarono subito, quando era in corso la ristrutturazione del locale. Il titolare capì che si erano fatti vivi per la messa a posto. È l’inizio della storia ricostruita dai poliziotti guidati dal dirigente della Sezione criminalità organizzata, Antonino De Santis, e dal pubblico ministero Caterina Malagoli. Il commerciante ammetterà in seguito di avere cercato un contatto con i suoi carnefici. E qui si innesterebbe il ruolo di una donna, Rita, una sua conoscente che si era messa a disposizione. Lei sapeva con chi si dovesse affrontare la faccenda è lo mise in contatto con Piero Oriti Misterio, oggi in cella con l’accusa di estorsione aggravata a allora detenuto ai domiciliari nella sua abitazione di Misilmeri. Oriti avrebbe individuato come interlocutore Girolamo Di Maio, fratello di Giuseppe che è stato condannato per avere fatto parte del clan di Porta Nuova.

Infine Di Stefano sarebbe passato all’incasso, ottenendo dal commerciante, due mila euro di acconto su dieci pattuiti. Solo che Di Stefano non era stato autorizzato dai capi che andarono su tutte le furie quando seppero dell’estorsione. E scattò la punizione per Di Stefano. Fu convocato nei locali in ristrutturazione della gastronomia e picchiato selvaggiamente. Calci, pugni e colpi di casco sferrati da quattro o cinque persone. Di Stefano riuscì a fuggire prima a pidei e poi in macchina. Gli strapparono, però, il borsello con i soldi e i documenti.

Gli stessi soldi e documenti che furono trovati dai poliziotti del commissariato Porta Nuova nell’intercapedine di un centro scommesse di via Piave nella disponibilità di Vincenzo Giudice. C’era anche quest’ultimo nel locale il giorno del pestaggio. E c’era sempre lui quando il commerciante fu convocato per chiedergli il pagamento di dieci mila euro di cui cinque mila furono versati a Donato qualche giorno dopo. E i due mila euro già pagati a Di Stefano? Inutile sperare di riaverli. Servivano per pagare i picciotti, così gli avrebbe detto Giudice. Oggi i protagonisti della brutta storia di pizzo sono finiti tutti in cella, raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa.


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