C'era una volta la Destra - Live Sicilia

C’era una volta la Destra

Una storia dimenticata, di cui non si parla, perché è proibita. Se ne parla in un libro, di cui si è discusso a Palermo.

C’era una volta la destra, con i suoi sogni, i suoi sbagli, i suoi estremismi, i suoi morti. C’era una volta la sinistra, con i suoi errori, le sue speranze, le sue vittime, i suoi eccessi. E si facevano la guerra. C’era una volta Enrico Berlinguer, con la sua pulizia morale, stroncato sul palco di un comizio, come un grande attore che esala l’ultimo respiro sulle assi di un palcoscenico. C’era Giorgio Almirante, che condusse alla via democratica un popolo difficile grazie al geniale motto “non rinnegare non restaurare”, mostrando in ogni occasione una virtù riconosciuta da tutti: l’onestà. Personaggi e simboli di un’Italia trapassata, oggi condannata alla critica sprezzante degli uomini nuovi, con un’espressione che vorrebbe risultare offensiva: “il paese delle ideologie”. E lo era. In parecchie lugubri occasioni, gli opposti schieramenti si armarono, lasciando corpi in strada. La violenza fu la luna oscura. Assassinò in culla la voglia di cambiare, prima che sorgesse la politica degli scaffali, dei prodotti e degli spot.
Solo che i morti e i vivi di destra sono stati derubricati e abbandonati in una voce anonima della clandestinità. Non erano glamour. Non si consideravano all’altezza del martirio, categoria tipica della sinistra. Così, un’intera storia ha subito la dannazione della dimenticanza.

Ora capita di sfogliare un libro: “Fronte della gioventù, la destra che sognava la rivoluzione: la storia mai raccontata” (514 pagine, edizioni Eclettica, venti euro), scritto da Alessandro Amorese. Una pubblicazione che appare, in un assaggio iniziale, accurata e che raccoglie e compendia un’esperienza sfaccettata. “Sul Fronte Della Gioventù – si legge – l’organizzazione giovanile del Msi, si è scritto molto e troppo sugli anni di piombo, poco o nulla sugli anni Ottanta e Novanta. (…). C’è per forza di cose un lato, quello umano, che non è facilmente declinabile con l’inchiostro: le sensazioni che si provavano ad entrare in una sede del Msi e soprattutto nella stanza del Fronte. Sensazioni uniche che solo chi le ha provate in diretta può comprendere fino in fondo (…). In quelle stagioni non c’erano internet e social network, la politica era ancora fatto di popolo e non di pochi addetti ai lavori”.

Un pregiudizio culturale – la cocciutaggine nel ritenere ogni cosa buona a sinistra e pessima a destra – ha impedito fin qui la cronaca storica e psicologica di una vicenda comunque interessante. Quando l’autore racconta del sentimento di appartenenza al Msi, si riferisce a un elemento specifico, ma la visuale si può allargare a quanti percepivano l’identico brivido all’ingresso di una sezione del Pci. C’è una identità trasversale che accomuna i protagonisti di una stagione perduta. Un dato cronologico, un legame irrevocabile al tempo e ai luoghi.

Del volume di Amorese si è discusso nello spazio Atreju di via Paolo Paternostro 43. Un modo di destra dell’aggregazione giovanile. Non a caso, legato al nome di uno dei protagonisti de “La storia infinita” di Micheal Ende. Atreju è il ragazzo dai capelli verdi che combatte per la sopravvivenza di Fantàsia, minacciata dal Nulla, l’alter ego di Bastiano Baldassarre Bucci, timido lettore di un librone straordinario nella soffitta di una scuola. E’ evidente il nesso con il desiderio di una politica che torni a essere passione contro la sua nullificante mercificazione. Amorese non è tenero nella sua ricostruzione: “Possiamo quindi affermare che c’era un’area per così dire armata nel Msi, un’area violenta e allo stesso tempo dannosa per una qualsiasi idea di smarcamento dalla logica degli opposti estremismi”. Un capitolo importante viene giustamente dedicato all’antimafia di destra, all’opposizione al blocco di potere democristiano. Le stragi segnarono un tragico passaggio di consapevolezza, in Sicilia.

Raoul Russo ricorda lo scenario all’indomani di via D’Amelio: “Quella notte ci trovammo in tanti, giovani e meno giovani di destra e di sinistra, uniti nel contestare il ministro Martelli”. Fu il sangue di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a cementare nella stessa rabbia passioni contigue e lontane. Il resto ci ha trasmesso fotogrammi di violenza, l’avvento di una classe dirigente plastificata, la scomparsa dei sentimenti dalla comunicazione, se non come elementi accuratamente studiati.
Non c’entra qui la nostalgia, piuttosto una critica rigorosa, capace di additare le cadute e sottolineare le speranze di un rinnovamento, mai tradotto nella prassi, ammesso che sia possibile coniugare concretezza e visione. Si tratta di frammenti che al presente appaiono incongrui. Non possediamo più nemmeno le parole per immaginare un altro orizzonte. Forse perché il Nulla ha già vinto.

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