Clan Laudani, vuoto di potere |dopo la morte del 'padrino' - Live Sicilia

Clan Laudani, vuoto di potere |dopo la morte del ‘padrino’

La scomparsa del patriarca Sebastiano Laudani potrebbe portare disequilibrio nella cosca, già duramente colpita da diverse inchieste.

CATANIA – A lui sarebbe toccata l’ultima parola per ogni affare mafioso. Il capo indiscusso dei Mussi I Ficurinia sarebbe rimasto Sebastiano Laudani, nonostante l’età e gli acciacchi della vecchiaia. Il boss è morto una settimana fa e il lutto potrebbe cambiare gli equilibri della cupola nella cosca catanese che è stata decimata lo scorso anno con il blitz “I Viceré”. La retata ha portato in carcere oltre 100 persone, tra affiliati, soldati, conniventi e fiancheggiatori. Il processo, diviso nei due tronconi abbreviato e ordinario, ha portato alla sbarra meno di 70 imputati.

Il cuore del “padrino” ha cessato di battere il giorno di San Lorenzo. Aveva novantuno anni. Il capo dei Laudani ha resistito alla sanguinaria guerra di mafia degli anni ’90, ma ha visto morire due dei suoi figli, Santo e Gaetano. Il patriarca dei “Mussi” è stato anche nel mirino di Nitto Santapaola. Lo racconta lui stesso alla nuora durante un colloquio nel carcere di Secondigliano, a Napoli. Era il 2010. Per motivi di salute, il 90enne in seguito è stato ristretto ai domiciliari.

La sua ascesa criminale parte da Canalicchio, il quartier generale dei Laudani. Il clan negli anni ha conquistato potere mafioso alle falde dell’Etna e nella terra delle Aci. Alleati e squadre militari hanno accresciuto la forza di una cosca che ha macchiato di sangue le strade catanesi. Il nipote “prediletto” Giuseppe Laudani, diventato pentito, descriveva il nonno come “un guerrafondaio che voleva ammazzare tutti”. Ma il pedigree del killer lo hanno avuto molti dei reggenti dei Mussi i Ficurinia che hanno dovuto tenere le fila mentre il capomafia, oggi scomparso, finiva in cella. Pippo Di Giacomo, anche lui diventato collaboratore di giustizia, usava la rivoltella molto spesso. E’ lui il mandante dell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà. Ma la lista (di sangue) è lunghissima.

Sebastiano Laudani ha sempre voluto ai vertici della famiglia personaggi dal forte carisma criminale, pronti ad armarsi e sparare. Le redini della cosca sono sempre rimaste in famiglia, il patriarca poteva contare su una lunga lista di nipoti che hanno scelto di seguire le orme del nonno boss. Come Sebastiano Laudani (U Nicu) arrestato durante un summit di mafia nella villetta di Belpasso insieme ai capi di Cosa nostra catanese. Tra questi l’ex reggente dei Santapaola Santo La Causa, oggi tra i collaboratori più lucidi e attendibili. La presenza del boss dei Laudani a quella riunione di mafia aveva sollevato molti interrogativi. L’esponente dei ‘Mussi’ avrebbe avuto un ruolo preciso in quel momento storico: nel 2009 i Cappello Carateddi avevano dichiarato guerra ai Santapaola. Laudani avrebbe dovuto “fare” da mediatore (se si fosse scelta la strada della mediazione e non quella delle armi) con Orazio Privitera e Sebastiano Lo Giudice. Ma i blitz Revenge e Summit hanno evitato altro spargimento di sangue.

La morte del patriarca avviene in un momento in cui la forza criminale dei Laudani è stata soffocata da ogni angolo, non solo da quello militare. Non è servita la strategia di operare fuori dalle roccaforti mafiose della città di Catania e di puntare ai comuni dell’Etna e delle Aci. La forza della magistratura è arrivata anche dove i Laudani pensavano di poter concludere affari illeciti indisturbati. Addirittura da Milano è arrivata un’inchiesta che avrebbe bloccato i flussi monetari che sarebbero serviti a garantire gli stipendi a detenuti e familiari. Un momento di declino per i Mussi i Ficurinia, che però non deve portare gli investigatori ad allentare la presa. Altri clan potrebbero approfittare del vuoto di potere per allargare i confini criminali. Ma i Laudani, anche se feriti, non sono mafiosi pronti a far colonizzare le loro “terre”.

 

 


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