Sul concorso esterno in associazione mafiosa “si potrebbe articolare una norma equilibrata, con un ambito di applicabilità né troppo ampio né troppo ristretto. Ma per arrivare a questa soluzione sarebbe necessario confrontarsi in modo civile e serio sulle possibilità di coniare una previsione di legge che stabilizzi i presupposti del reato di ‘sostegno alla mafia’ oggi sanzionata col concorso esterno”. L’apertura al confronto sulla definizione del concorso esterno arriva a sorpresa dal procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, il pm che ha sostenuto l’accusa proprio per concorso esterno nel processo di primo grado contro il senatore Marcello Dell’Utri. Su “S”, il magazine di cronaca e attualità in edicola da sabato 19 dicembre, il magistrato non chiude la porta a una proposta di legge per definire il reato, finora affidato solo alle interpretazioni, a patto di garantire “fiducia reciproca fra politica e magistratura, riconoscimento dell’esigenza di punire condotte di questo genere e ricerca comune di un punto di equilibrio”.
Ingroia, però, precisa che l’assenza di una norma specifica, al momento, è perfettamente coerente con l’ordinamento italiano: “Ogni studente di giurisprudenza – spiega il magistrato – sa che la mancanza nel codice penale di un’apposita disposizione incriminatrice per il ‘concorso esterno nell’associazione mafiosa’ è perfettamente normale, così come per ogni altra ipotesi di concorso in qualsiasi reato. Per fare un esempio, non esiste una specifica norma incriminatrice né per il concorso in omicidio, né per il concorso nel furto”. Secondo Ingroia, però, “sarebbe palesemente contrario a criteri di giustizia che si punisse soltanto colui il quale commette materialmente il delitto, e cioè l’omicida che materialmente spara contro la vittima, e non anche chi agevola il delitto, come il ‘palo’ della rapina” e dunque “il nostro ordinamento, come in ogni parte del mondo, prevede l’applicazione di una combinazione di norme che consente di sanzionare, appunto a titolo di ‘concorso’, anche le condotte di agevolazione del reato”. Per definire il reato, dunque, bisognerà “verificare se sia possibile porre fine ad ogni polemica introducendo una norma incriminatrice ad hoc che punisca la condotta ‘agevolatrice dall’esterno’ dell’associazione mafiosa”. Nessuna strada, però, è preclusa: “Se si riuscisse a realizzare sull’argomento un confronto pacato – afferma il magistrato – forse si potrebbero fare dei passi avanti. Ma se prevale sempre lo spirito polemico, la contrapposizione dialettica, la tendenza non a discutere ma ad annientare gli argomenti degli avversari, è difficile fare passi avanti”.