Perché la Sicilia non gioca nel campionato di AC (Alta Corruzione)? La domanda è legittima. Quali sono le ragioni in base alle quali i grandi lavori pubblici, si scopre, sono gestiti (vedi EXPO e MOSE), da sistemi corrotti e corruttivi, indipendenti ed impermeabili ai vertici di organizzazioni mafiose, mentre nel Mezzogiorno, ed in Sicilia particolarmente, il fenomeno ha un’evidenza assai meno appariscente?
Liberiamoci subito da un assunto: quello in base al quale reputazione ed onestà in Sicilia escludono ogni corruzione. Caso mai, una prima risposta potrebbe partire da un’ipotesi: mancano oggi in Sicilia grandi lavori pubblici che abbiano dimensioni e risorse investite come quelle prima citate. Avrebbe potuto esserlo il Ponte sullo Stretto di Messina, una infrastruttura controversa al pari del MOSE e della TAV. Sulla quale, evidentemente, non si è mai realizzato un accordo definitivo di interessi. Il “Corriere della Sera” (9 Giugno 2014), ne ha riassunto la storia: messa nel 2001 da Berlusconi in cima alla lista delle opere strategiche. Poi cancellata con un colpo di spugna nel 2006 dal governo Prodi. Riesumata ancora da Berlusconi nel 2008 per essere affossata dallo stesso Berlusconi nel 2011. Sepolta, quindi, da Mario Monti, dopo una gara internazionale e la stipula di un contratto con imprese nazionali ed internazionali.
Gli interessi in gioco saranno stati convergenti intorno al lucro da ricavare dalla “non realizzazione”: 350 milioni per il progetto e un miliardo (all’incirca) per le penali. Guadagni senza costi: una pacchia per qualunque impresa. Un giorno forse scopriremo le vere ragioni di questo costoso affossamento di un’opera sulla quale peraltro si era relativamente ridotta nel tempo la cifra del dissenso.
Un’altra grande opera, del valore di 5 miliardi, che recava in sé, come hanno sintetizzato i magistrati, le stimmate della corruzione, quella dei termovalorizzatori, è stata fermata in tempo da una decisione politica, presaga di futuri interventi a livello penale.
Seconda fase di ragionamento. Sono oggi, dopo la grande stagione dei cavalieri, in numero ridotto le grandi imprese siciliane di costruzione in grado di esercitare un’azione di lobby per far affluire risorse da dedicare ad opere pubbliche di un certo rilievo. Se manca il “deriver” locale, potrebbe risultare poco attraente per imprese sterne scegliere la Sicilia come localizzazione. Se non ci sono grandi opere manca il terreno e l’occasione per la grande corruzione. Poco interessata evidentemente alle 350 opere incompiute in Sicilia per un totale di 1,7 miliardi tra fondi spesi e finanziamenti da richiedere per completare i cantieri (“La Sicilia”, 11 Giugno 2014). Completamenti di “bretelle” e tratti di autostrada non vengono considerati “grandi opere” sulle quali costruire strutture di corruzione diffusa.
Ovviamente, qualcuno, a questo punto, tirerà in ballo la presenza in Sicilia di Cosa Nostra, come fattore di scoraggiamento per la progettazione e l’esecuzione di una grande opera. Nel senso che potrebbe verificarsi un aumento dei costi relativi alla gestione di eventuali e necessari processi lavorativi.
E’ possibile, anche se finora nessuno riesce bene a spiegare perché negli scandali dell’EXPO e del MOSE la mafia, nelle sua articolazioni, risulta “non pervenuta”. Quasi, cioè, che il livello di corruzione accertato sino ad oggi, nelle grandi opere citate, la escludesse come soggetto necessario di garanzia. Lasciandole semmai ruoli di scarsa influenza nei sub-appalti e nelle guardianie.
Qualcuno ha parlato della teoria del pettine (M. Collura, “Corriere della Sera”, 8 Giugno 2014). In sostanza, si afferma, la magistratura ha permesso nei casi de l’EXPO e del MOSE che tutti i nodi venissero al pettine, visto un difetto di anticorpi per combattere abusi e ruberie (Sciascia). Ora, viene da chiedersi, cosa accadrebbe se venisse usato il pettine anche in Sicilia? Se si scoperchiassero le pentole del malaffare, davvero ed una volta per tutte? L’argomentazione ci appare un po’ peregrina e con un eccesso di dietrologia. Come se gli organi di controllo in Sicilia fossero in qualche modo complici essi stessi di “scandali” che non si fanno emergere. Razzismo sottinteso?
Un’ultima pista da seguire. Grandi opere e solidi sistemi di corruzione si realizzano -verifichiamo oggi – grazie a reti economiche e politiche dalle trame ben salde. In presenza di relazioni forti tra governo del territorio, governo nazionale, imprese di lignaggio. In un contesto, è paradossale dirlo, di reciproca fiducia imposta dalla presenza di soggettualità forti. Con azioni intelligenti di regia criminale messe in atto da competenze indiscusse. Siamo in un modello assolutamente diverso rispetto a quelli che conosciamo in Sicilia, popolati da faccendieri, imprenditori senza attitudine al rischio ed all’innovazione, politici da condominio. O, forse, per questo alto “spread” di corruzione nelle grandi opere pubbliche tra il Lombardo-Veneto e la Sicilia c’è solo come spiegazione il fattore C. Il lettore smagato avrà già capito in che cosa consiste.