"Covid: avremo giorni molto duri, perché non ci sarò più"

“Covid: avremo giorni molto duri, perché non ci sarò più”

Il commissario all'emergenza Covid annuncia il commiato.
INTERVISTA A RENATO COSTA
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4 min di lettura

“Temo che avremo giorni molto duri, in autunno e in inverno, con il Covid. Ma io non ci sarò più, non me ne occuperò, con le mansioni che ho adesso. Il 31 dicembre prossimo, in Sicilia, la struttura commissariale decadrà. Spero che sia resa stabile, perché è necessario e per non disperdere il lavoro dei miei fantastici ragazzi. Ma io, comunque, rientrerò in ospedale, non vorrò, eventualmente, dirigere niente. Voglio tornare al mio reparto, voglio tornare all’ambulatorio popolare con il mio amico Franco Ingrillì”.

Renato Costa, commissario per l’emergenza Covid, a Palermo, è stanco. Nel suo ufficio-bugigattolo alla Fiera si abbandona su una mini-poltroncina. Accanto a lui, Giusi, preziosa collaboratrice, e ‘Franco’, cioè il dottore Ingrillì, l’amico e compagno di battaglie di una vita.

Ne è proprio sicuro commissario? I suoi ragazzi, che lei ha appena citato, non saranno contenti.
“Questa è la mia intenzione. Da tempo ci penso e sono rimasto perché il dovere lo imponeva. Tra un po’ finisce il mio mandato e non sarò disponibile per un seguito. Sono un medico ospedaliero e non vedo l’ora di ricominciare a farlo. Ci sono malati da assistere, ricerche da completare. E poi c’è l’ambulatorio popolare al Borgo per chi non ha nulla. Sono stato troppo lontano”.

Nella sua scelta c’entra in qualche modo la politica? Lei è un ‘comunista’, come si definisce apertamente, nominato dal governo Musumeci che non concederà il bis.
“Assolutamente no. E’ un passo che, davvero, medito da tempo, per le ragioni che le ho appena detto”.

Sembra anche turbato. E’ successo qualcosa?
“Lasciamo perdere. Scriverò un libro di memorie, prima o poi, per raccontare i momenti bellissimi e quelli sconfortanti di un’esperienza che non dimenticherò mai. Eravamo inermi, a mani nude, quando abbiamo cominciato la battaglia contro il coronavirus. Oggi, siamo in una situazione in cui possiamo giocarcela. Ma, attenzione, il Covid non è morto e in autunno tornerà con forza. Lo dicono i numeri”.

Ci torneremo. Parliamo di lei, intanto. Cosa ha contraddistinto la struttura commissariale, nel suo bilancio personale?
“Il fatto che siamo riusciti a realizzare la medicina sociale, la medicina di prossimità che è una mia fissazione da quando ero un giovane studente. Il medico non è solo uno che tenta di curare una malattia, è uno che si prende carico interamente delle persone, da tutti i punti di vista”.

Uno schema che ha funzionato a Palermo, con la pandemia?
“Altroché se ha funzionato! L’assistenza domiciliare è capillare. Abbiamo vaccinato e vacciniamo a domicilio. Abbiamo curato e curiamo a domicilio. Nei duemila trattamenti antivirali che abbiamo somministrato fin qui, in nessun caso è stato necessario il ricovero. La medicina sociale previene. Evita il peggio e, al tempo stesso, proprio con la prevenzione, abbatte i costi della sanità”.

Da quanto la pensa così?
“Da sempre. Come le dicevo ero un giovane studente universitario. Eravamo tanti a pensarla così e siamo stati noi, con il nostro impegno, a far aprire il pronto soccorso del Policlinico, lavorando gratis e curando i pazienti con una dedizione totale. Sì, c’era anche Franco. Sono orgoglioso di quegli anni”.

E di questi?
“Non parliamo di me. Parliamo dei miei ragazzi. Loro sì che sono stati fantastici. Hanno lavorato senza guardare l’orologio, con il sole e con la pioggia. Io credo che sarebbe una follia sprecare un patrimonio del genere. Ecco perché mi batterò affinché la struttura passi in pianta stabile. Ne avremo bisogno per la pandemia e per le sfide sempre più impegnative che, sicuramente, affronteremo”.

E lei?
“Prescinde da me. Io non c’entro. Conta il lavoro di squadra, non il singolo. Mi lasci dire che i miei ragazzi li porterò sempre nel cuore, come spero che loro portino me”.

Che giorni ci aspettano, dunque?
“Duri. Sarà un autunno complicato. Riapriranno le scuole, senza che siano stati compiuti lavori strutturali nei sistemi di areazione. Nel frattempo, l’immunità della terza dose sarà del tutto scaduta. Le temperature scenderanno. Ci saranno nuove varianti. Le famiglie si riuniranno al chiuso… Devo continuare?”.

Lei descrive uno scenario inquietante.
“Io seguo il principio di realtà. Il Covid non ha mai fatto niente di diverso. Siamo noi che decidiamo, ogni tanto, di non prenderlo sul serio, fino a quando lui non si impone. Temo che sarà nuovamente così”.

Cosa la amareggia?
“Noi siamo, a seconda del frangente, i salvatori della patria o i parenti da non invitare ed è una cosa a cui non mi sono mai abituato. Per ora sta passando la parola d’ordine del silenzio, non si deve dire più niente di coronavirus. Ma temo che sarete costretti, nuovamente, ai titoli di apertura dei giornali”.

Come possiamo proteggerci, secondo lei?
“Vaccinando tutti subito con la quarta dose e i fragili, poi, con la quinta. Aumentando i posti in ospedali. Ogni morto che si poteva evitare e che non è stato evitato rappresenta un atto d’accusa contro l’inerzia”. (Roberto Puglisi)


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