Crocetta e la danza nera del suicidio | Il dolore a uso del cerchio magico - Live Sicilia

Crocetta e la danza nera del suicidio | Il dolore a uso del cerchio magico

Va bene, il dolore, va bene il riserbo. Tutta la sofferenza - anche quella di un uomo pubblico - va compresa e protetta. Ma quando un gesto estremo come il suicidio si accompagna al potere, quando diventa pretesto e preludio di altro, forse bisognerebbe ridare il peso giusto alle parole.

Le parole del presidente
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Il suicidio è un corso di acque limacciose e di dolore. Rosario Crocetta ne ha parlato spesso, nei giorni seguenti all’intercettazione fantasma. Ha sfogato una pena che umanamente possiamo comprendere e proteggere col riserbo, finché dura la discrezione dell’interessato. Ma, se dall’intimità si passa allo schiamazzo, se una presunta e tragica volontà si trasforma in retorica pubblica, in danza nera e ossessiva, in stratagemma per passare all’incasso dell’empatia, allora le cose cambiano. Ed è urgente ridare alle parole il loro giusto peso, con una citazione dell’abecedario presidenziale.

“Non mi sono suicidato perché è intervenuto un procuratore perbene, Lo Voi (…) Pensavo alle tecniche che dovevo adottare per evitare l’arrivo di qualcuno, ho anche i militari sotto casa e un collaboratore vicino a me. Ma ho trovato un metodo facile, semplice. Lo avevo trovato ma non lo dico per paura delle emulazioni”. Ricordate quelle incaute dichiarazioni alla ‘Zanzara’? Uno sventolio di morte.

Poi, riecco il suicidio che torna, da spettro ingombrante, nella storia della possibile e contrastata promozione di Antonio Fiumefreddo – presidente di Riscossione Sicilia e gemma del ‘cerchio magico’ crocettiano – ad assessore.

Tra i requisiti che lo rendono degno del soglio assessoriale, spicca la particolare vicinanza col governatore, soprattutto nel momento di profondo sconforto della pubblicazione dell’articolo de ‘L’Espresso’, quando una voluttà di annullamento – per come ha narrato lo stesso Saro e i giornali hanno ricostruito – si era fatta concreta. E Antonio sarebbe miracolosamente apparso in veste di arcangelo e di sostegno.

Ecco che il suicidio (per fortuna, mancato), col suo fardello atroce, entra di striscio nel teatrino della politica, insieme al resto. Da crocevia della disperazione a preludio intrinseco, tra i preludi, di un posticino in giunta, col ‘salvatore’ glorificato, umilmente pronto a cogliere un segnale di ulteriore, rinnovata, fiducia. Una sceneggiatura appropriata per chi ha fallito le suggestioni dell’antimafia, della rivoluzione, dell’omofobia e si appresta a cavalcare, fino in fondo, la trama di un cupo melodramma.

E tutto ormai sopportiamo nella rassegnazione: una terra che è pantomima, una politica che è sciagura, un presidente che è caricatura del suo ruolo. Tutto, ma non la poetica del gesto estremo esibita nel recinto di cerchi o cerchietti magici. Almeno, da tanto clamore di poltrone e prebende, restino libere e intoccate le lacrime di chi ha sofferto.


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