Crocetta, le intercettazioni | e la compagnia dello strascico - Live Sicilia

Crocetta, le intercettazioni | e la compagnia dello strascico

Si può parlare di un argomento tabù? Si può parlare di un presidente che definiamo politicamente impresentabile e che ha il diritto di difendere il suo onore? Nessuno dovrebbe essere crocifisso solo per il silenzio. Nessuno dovrebbe essere massacrato.

Ogni intercettazione che vede la luce è un vaso di Pandora: andrebbe scoperchiata con grande cura, per evitare che fugga via, senza motivo, la dignità delle persone.

Al telefono diciamo e ascoltiamo di tutto: spifferi che non sempre riguardano la nostra piena coscienza. Sconcezze, leggerezze, cose che non ripeteremmo, frammenti che non hanno alcun valore, purché non siano di rilievo certamente penale o di interesse sicuramente generale. Basterebbe fare la prova e riascoltare il chiacchiericcio privato di ciascuno: vedremmo emergere piccole miserie umane, ricatti sentimentali, materiale da sgabuzzino, su cui mai impegneremmo noi stessi. Voci dal vaso fuggite in barba al supremo principio dell’intimità e della riservatezza.

Invece, quelle stesse parole decontestualizzate, date in pasto al primo taccuino disponibile, possono diventare tavole della legge, notizie di un reato che non c’è. Su di esse si esercitano il gusto del morboso e la necessità di tortura, tipica dei colpevoli che l’hanno fatta franca, di coloro che sanno quanto risulterebbero ignobili se sottoposti al vaglio perpetuo del Grande Fratello auricolare.

Cura. Ci vuole cura. E sensibilità. Rosario Crocetta è stato martoriato per un colloquio fantasma, smentito dalle Procure. A prescindere dalla controversia sulla veridicità di quella famosa intercettazione, pochi hanno colto l’altro punto in gioco. Nessuno può essere crocifisso al suo silenzio. Giacché era proprio questa la lancia nel costato del governatore, l’accusa somma: il suo essere rimasto zitto davanti a una presunta affermazione irricevibile. A margine, Saro da Gela ha creato con spregiudicatezza tattica il suo capolavoro. E’ riuscito a capovolgere i termini del processo sommario. Alla fine, l’articolo dell’Espresso si è risolto nella beatificazione di un presidente politicamente impresentabile. Resta, però, il fatto: un silenzio è niente, assenza di pronuncia, nulla, da riempire secondo convenienza o interesse. Non dovrebbe trasformarsi nel chiodo che appende alla croce la reputazione di una persona.

Ce ne sarebbe già abbastanza – in teoria e casistica – per discutere di intercettazioni, di registrazioni, di video, di conversazioni carpite di nascosto, o di altre dicerie a portata di condivisione che lambiscono una materia delicata come la privacy. Eppure, ogni volta che nasce un tentativo di dibattito, ecco che viene strangolato in culla dai puristi dell’allarme sociale. Lanciano un appello accorato e unanime in successione: opinionisti, giudici, alti commissari, persone serissime e perbene che affidano la loro idea di palingenesi sociale alla pesca a strascico. Si getti la rete, si raccolga ogni voce. E tutto, magari, si pubblichi: chi dissente avrà pur qualcosa da celare.

Tutto, pur di non fermare l’implacabile ricerca della verità, poiché nella più infinitesimale inezia “può esserci un boss nascosto”. Al minimo sussurro che argomenti in senso contrario – facendo presente che c’è perfino il diritto degli ignari e innocenti a non subire esecuzioni mediatiche, stabilendo norme e sanzioni – la compagnia insorge. Nessuno esca dalla casa del Grande Fratello, senza permesso. Nessuno metta bocca tra silenzi e sussurri. E che la pesca a strascico delle vite altrui continui indisturbata.


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