Da Almaviva Contact a Exprivia | Tutti i nodi della vertenza - Live Sicilia

Da Almaviva Contact a Exprivia | Tutti i nodi della vertenza

Il tavolo tecnico al Ministero per lo Sviluppo economico

L'azienda accusa: "Disatteso il punto 5 dell'accordo di maggio". Ma sul "controllo qualità individuale" i lavoratori non vogliono cedere.

PALERMO – I lavoratori lo avevano detto ai sindacati: “Questo accordo non ci piace”. Era la fine di maggio e al Mise si chiudeva – o almeno, così sembrava – la vertenza Almaviva Contact, dopo che l’azienda aveva annunciato migliaia di esuberi su Palermo (1670). Contratti di solidarietà e cassa integrazione per 18 mesi, il tempo per trovare la quadra con il Governo nazionale per rilanciare un settore diffusamente in crisi a causa del massiccio fenomeno delle delocalizzazioni e della insana diffusione delle gare al massimo ribasso, con appalti spinti anche al di sotto del minimo del costo del lavoro. E per controllare che non si tornasse tutti a dormire sonni tranquilli l’accordo sottoscritto prevedeva esplicitamente un incontro di monitoraggio mensile a Roma, al Ministero per lo Sviluppo economico.

Ma qualcosa non ha funzionato e oggi, a pochi mesi di distanza, la situazione è ancora più grave: 2511 licenziamenti previsti in seguito alla chiusura delle sedi di Roma e Napoli e trasferimenti collettivi da Palermo a Rende, in Calabria, per i 397 operatori impiegati sulla commessa Enel, in esaurimento alla fine dell’anno. E nonostante al Ministero il tavolo sia ancora aperto, l’azienda ha detto chiaramente di non avere più margini per trattare: l’amministratore delegato di Almaviva Contact, Andrea Antonelli ha denunciato, infatti, alla Commissione Lavoro del Senato, circa 100 milioni di euro di fatturato persi in quattro anni.

Di fronte alla presa di posizione di Almaviva, il viceministro Teresa Bellanova, che da mesi si occupa della vertenza, ha invitato al tavolo tecnico anche Enel ed Exprivia, la società di Molfetta, in Puglia, che si è aggiudicata la commessa con il colosso dell’elettricità e che la gestirà a partire dal 2017. Il tentativo è quello di applicare le cosiddette clausole sociali che prevedono il traghettamento dei lavoratori Almaviva che hanno lavorato su Enel verso Exprivia, tenuta a rispettare la territorialità e ad aprire, quindi, una sede a Palermo. Le condizioni dettate dall’azienda pugliese però sono state giudicate inaccettabili dai sindacati: ricontrattazione dei livelli, riduzione del monte ore (da 6 a 4 ore), azzeramento degli scatti di anzianità, inosservanza dell’art. 18 e applicazione delle norme del Jobs Act. La trattativa sarà difficile, la sensazione per i lavoratori è che da Almaviva Contact a Exprivia il passaggio sarà come quello dalla padella alla brace, e la scelta che hanno davanti è tra una situazione professionale degradata o il trasferimento repentino – si doveva partire già il 24 ottobre, ma è arrivato uno stop per permettere le contrattazioni – in un’altra regione. E a rendere tutto più complicato ci si è messo anche il clima di sfiducia tra lavoratori e sindacati dopo la firma dell’accordo di maggio, che ha portato fino a questo punto.

Due sono in particolare i nodi che rendono così difficile trovare una via d’uscita alla vertenza: uno contingente, al previsione di un controllo di qualità individuale; l’altro, più generale, attinente alle politiche economiche del governo.

CONTROLLO INDIVIDUALE – Recita il punto 5 dell’accordo firmato al Ministero lo scorso 31 maggio: “Entro sei mesi dalla sottoscrizione del contratto di solidarietà le Parti sociali sottoscriveranno un accordo […] in merito alla gestione della qualità, della produttività e dell’analisi del contatto a livello individuale, finalizzato a fornire le imprescindibili leve distintive che consentano di essere competitivi”. È questo il cuore della vertenza così come si è ripresentata nelle ultime settimane. L’azienda ha accusato i sindacati di non aver rispettato l’accordo, e in particolare questo punto, ma i sindacati non avrebbero potuto fare altrimenti: firmando un testo che conteneva questo impegno avevano fatto infuriare la maggior parte dei lavoratori, che considerano il controllo individuale “uno strumento ricattatorio”. “Ribadiamo – hanno affermato le sigle sindacali Fistel Cisl, Slc Cgil e Uilcom Uil – che un eventuale accordo sul tema del controllo individuale non sarebbe, a nostro avviso, un elemento valido per sanare le sorti di questa azienda ma solo un ulteriore tentativo di strumentalizzare il lavoratore per dare un vantaggio all’azienda”.

GOVERNO INERTE – “Gli effetti delle delocalizzazioni sono brutali, ma non abbiamo alcuna intenzione di voltarci dall’altra parte e abbandonare i nostri lavoratori”. A rileggerle oggi, dunque, sembra quasi una beffa, ma queste parole, pronunciate ormai circa due anni fa, sono proprio di Marco Tripi, presidente di Almaviva. “Sarebbe più facile per tutti – diceva Tripi allora – se decidessimo di pensare ad altro, di concentrarci sulle altre attività del gruppo, se delocalizzassimo anche noi all’Estero, ma non lo faremo”. E invece, come abbiamo visto, le cose cambiano e anche Almaviva oggi ha deciso di investire in un altro mercato dell’Unione europea, quello della Romania. Qualche settimana fa la multinazionale ha aperto un piccolo call center, in cui lavorano non più di cento operatori, una scelta comunicata dai vertici aziendali a tempo debito nelle sedi ufficiali, un tentativo di scovare opportunità all’Estero con un costo del lavoro più basso. Perché, in fondo, il problema alla base della vertenza, ma che infesta in realtà tutto il settore delle telecomunicazioni in Italia, è proprio questo, il costo del lavoro: a uccidere il mercato sono le gare al massimo ribasso e Almaviva lo denuncia da anni ormai.

Quello che a oggi appare un mero scontro tra lavoratori e sindacati, sindacati e azienda, azienda e Istituzioni, in un tutti contro tutti che sembra non sfociare da nessuna parte, non è altro che la crisi derivante dalla gestione errata e miope a livello nazionale di un fenomeno ormai ricorrente nelle gare e negli appalti: la previsione di un costo del lavoro troppo basso, inferiore anche a quelli che sono i minimi stabiliti per legge.


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