PALERMO – Il 29 novembre è stato convocato dai giudici della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Saranno loro a decidere le sorti giudiziarie di Nino Dina. Il procuratore aggiunto Bernardo Petralia e il sostituto Daniela Varone chiedono che il deputato regionale sia sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per quattro anni nel comune di residenza. I pubblici ministeri lo considerano un soggetto socialmente pericoloso per via dei suoi rapporti con alcuni esponenti mafiosi.
Nino Dina, parlamentare da più legislature, storico esponente dell’Udc, oggi approdato al Gruppo misto, è uscito indenne da diverse inchieste. Ne resta pendente una per una presunta corruzione elettorale. Gli indizi raccolti nelle indagini precedenti non sono divenute prove utili per processarlo ma, come scrive la Procura, “sono sufficienti per l’applicazione della misura di prevenzione”.
Di lui si parlò per la prima volta nel 2003. L’inchiesta era quella che fece emergere a rete di talpe in Procura e portò alla condanna di Totò Cuffaro, di cui Dina era amico e compagno di partito. I carabinieri annotavano che Dina si “sarebbe adoperato per stilare secondo le indicazioni dell’allora presidente della Regione” il tariffario sanitario che favorì Michele Aiello, re mida della sanità privata poi condannato per mafia, a discapito di Guido Filosto della clinica La Maddalena. Dina faceva parte della commissione regionale Servizi sociali e sanitari. È a lui che Cuffaro avrebbe consegnato la copia del tariffario da approvare con i desiderata di Aiello, proprietario della clinica Villa Santa Teresa di Bagheria.
Nel 2009 emersero i rapporti fra Dina e Salvatore Di Miceli, considerato organico alla famiglia mafiosa di Monreale e su cui pende una proposta di misura di prevenzione personale e patrimoniale. Nello stesso anno l’onorevole veniva citato anche nel fermo che aveva colpito i clan mafiosi dell’Acquasanta. Nella sua segreteria politica, in largo Calatafimi, a Palermo, si era svolta una riunione con Antonino Caruso e Antonino Genova che “aveva per oggetto un accordo trasversale attraverso il quale i due uomini, in rappresentanza del contesto mafioso, promettevano appoggio elettorale in cambio di assunzioni”. Il collaboratore di giustizia Michele Visita disse di avere saputo dell’accordo. Nel 2010 mostrarono la foto di Dina a un altro pentito, Salvatore Giordano, che, pur non ricordandone il nome, disse che “questo è un altro politico… anche in mano loro l’avevano”, riferendosi ai mafiosi.
Il 3 dicembre 2012 Antonino Di Marco, Nicola Parrino e Pasqualino D’Ugo, allora incensurati e successivamente arrestati in un blitz dei carabinieri contro le cosche di Corleone e Palazzo Adriano, furono intercettati mentre uscivano dalla segreteria di Dina. Per questi fatti il politico non è stato indagato. Una scelta dettata dal fatto, spiegarono gli investigatori, che all’epoca dei fatti non era entrato in vigore il nuovo articolo sullo scambio elettorale politico-mafioso che punisce non più chi “ottiene la promessa” ma chi “accetta la promessa” di voti ed estende lo scambio ad altra “utilità” invece che alla sola “erogazione di denaro”. Per la verità il consenso elettorale ottenuto da Dina in quella fetta di provincia non è andato oltre una manciata di voti.
Il 19 maggio di quell’anno, nel corso di una telefonata tra Di Marco e Parrino venne fuori che Dina era atteso a Palazzo Adriano. Masaracchia voleva che Di Marco fosse esplicito con l’onorevole: “Tu con Dina devi cercare di parlarci chiaro. Gli devi dire io Nino l’aiuto te lo da, però ricordati che poi io ti vengo a cercare”. Di Marco lo tranquillizza: “Vedi che io sono tutto calmo. Io per me, a lui, una volta a lui e anche a Totò, dentro la presidenza, li ho fatti piangere, gli ho detto… tutti e due non sono venuto mai a chiedere una cosa, mai. Però, gli ho detto, a ora di votazioni sapete dove sta Nino. Ad ora che tu hai bisogno di interpellarlo lo sai dov’è che è Nino. Come mai lo sai? Capisci? Io a Nino, quando fu della mangiata là, io gliel’ho detto, ricordati una cosa, capisco i tempi che sono, ma una minima cosa non te la scordare, quando c’è di bisogno, gli ho detto, fatti avanti. Mi ha detto, non ci sono problemi. Gli ho detto, io ti metterò alla prova, poi ci sono andato di nuovo, per un’altra cosa, gli ho detto, non ti pare che me lo sono dimenticato, difatti gli ho chiesto una cosa per una persona, lui non mi ha telefonato, però, io so che gliel’ha fatta già”.
Il 29 ottobre 2012, il giorno successivo alle elezioni regionali, Parrino contattava Caruso per informarsi sui risultati: “Non è che lui ha… venti voti, cinquanta voti… eh… eh… capiresti, capiresti che se fosse per tutti e due… (di fatto sminuirebbe l’apporto dato all’elezione di Dina, consistito in soli 50 voti) certo una cosa… noi altri… una piccola soddisfazione c’è… nel senso che… intanto Nino è il primo là, tra… tra i candidati dell’Udc”. Quindi Parrino avvertiva Di Marco: “Che ti do una notizia… Ma cos’è… eh… l’amico nostro eh… diciamo che è quasi il primo eletto…”.
Nel 2015 Dina finì agli arresti domiciliari per alcuni giorni. Alla vigilia delle elezioni regionali del 2012 il politico, eletto nella lista Udc, parlava al telefono con Giuseppe Bevilacqua, pure lui candidato ma alle comunali e non eletto per una manciata di voti. Secondo l’accusa nel processo ancora in corso, Bevilacqua sarebbe stato grado di pilotare il consenso elettorale grazie all’intervento dei mafiosi di Tommaso Natale. Al telefono sosteneva di avere ricevuto alcune promesse da Dina: “Siamo andati… io e Nino Dina allo Scudiero. Siamo andati a mangiare là, poi siamo usciti, abbiamo passeggiato come ai tempi di Drago, da una parte all’altra, in via Libertà… dice: ‘Ma tu c’hai a qualcuno della famiglia da poter impostare? Io…’, dice, ‘ti posso dare un incarico eee…’, dice, ‘di 15 mila euro’, dice, ‘anche se non viene’”.
Tutti questi indizi, secondo la Procura, fanno di Dina un soggetto socialmente pericoloso. Se la proposta di applicazione della sorveglianza speciale dovesse essere accolta, l’obbligo di soggiorno gli impedirebbe di continuare a fare il parlamentare. La decisione spetta al collegio presieduto da Giacomo Montalbano. L’udienza è fissata per il 29 novembre.