PALERMO- Francesco Forgione torna in Sicilia da capolista al Senato di Sel, e lo fa con una battuta: “Non ho mai smesso da vent’anni di essere residente nell’Isola”. Un ironico mettere mani avanti dopo il pasticciaccio del “caso Fava” alle ultime regionali. L’ex presidente della commissione nazionale Antimafia, di quell’Antimafia, rivendica con orgoglio, che varò il codice etico sulle candidature oggi adottato da diversi partiti e che approvò la prima relazione sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta al Nord, torna sul campo guidando la lista di Vendola per Palazzo Madama. Un ritorno che segue a una fortunata esperienza da scrittore di saggi sulle mafie (il primo, “Mafia export”, tradotto in 22 Paesi) accompagnata da conferenze in giro per il mondo, ospite, ci racconta, del governo dell’Argentina, della presidenza della Repubblica dell’Ecuador e via discorrendo.
Intanto, queste Politiche in Sicilia vedono ricompattarsi Sel e Pd dopo le divisioni delle regionali. Come valuta questo riavvicinamento?
“Dentro le ragioni nazionali di una coalizione nazionale che deve sconfiggere le destre per dare all’Italia un governo di cambiamento. In questo quadro sta dentro un nuovo ruolo della Sicilia, dopo gli anni in cui le destre hanno subito l’egemonia culturale della Lega. Ora bisogna trovare un terreno comune di lotta e una fisionomia di sinistra”.
Quali sono i temi centrali di quella “fisionomia di sinistra” di cui lei parla?
“Primo: un peso diverso della cultura, della scuola, dell’università in un’ottica mediterranea. Secondo: la centralità del lavoro e degli investimenti al Sud, in una visione che abbia al primo posto l’impatto occupazionale dei progetti. Terzo punto, che per la mia storia è ovviamente centrale, un’antimafia che rappresenti la ricostruzione di un’etica pubblica e superi l’esclusività dell’azione giudiziaria e penale”.
Come giudica dall’esterno le prime mosse del governo Crocetta?
“Credo che stia dando importanti segnali di rottura in Sicilia, soprattutto sul piano del costo di una burocrazia ormai fuori dal tempo. Questo è un dato sul quale aprire un dialogo positivo. Ma bisogna evitare che a questi segnali di rottura si associno forme di consociativismo condizionate dai numeri dell’Assemblea, che spingono quotidianamente a trattative permanenti. Bisogna assicurare una forte discontinuità con il recente passato, sia con il lombardismo sia con il cuffarismo”.
Ma a proposito di Lombardo, pare che il suo partito stia trattando con Tabacci, che è vostro alleato. Come vedrebbe un loro ingresso nella coalizione di centrosinistra?
“Il centrosinistra deve vincere con la forza di una proposta di cambiamento e di alternativa nei programmi e negli uomini. Cooptare pezzi lombardiani nella coalizione sarebbe un errore grave che azzopperebbe la forza di cambiamento del futuro governo Bersani. Da questo punto di vista, il voto a Sel è il più serio degli argini”.
In questa competizione elettorale vi ritrovate un competitor che parla anche al vostro elettorato: Antonio Ingroia. Che ne pensa della sua scelta di candidarsi premier?
“Una candidatura come quella di Ingroia, che ripropone all’attenzione nazionale temi come la lotta alla mafia, per me ha un valore positivo per il dibattito che stimola. Ma credo che in questo momento, contro Berlusconi e la Lega da una parte e Monti e Casini dall’altra, una posizione che si sottrae a questo scontro fondamentale rischia di favorire chi vuole bloccare il cambiamento. Io credo che gli elettori di centrosinistra lo comprenderanno, soprattutto in Sicilia, che con la Lombardia è la regione decisiva in queste elezioni per il futuro dell’Italia”.
Qual è l’obiettivo di Sel in Sicilia?
“La rappresentanza piena della sinistra siciliana nei collegi della Camera e al Senato”.
Lei sa che c’è chi teme che Sel oggi possa essere quello che fu il suo partito, Rifondazione, per il governo Prodi, cioè l’alleato massimalista che poi fa saltare il tavolo.
“Sel è una forza di sinistra popolare, radicale nei contenuti, ma anche di governo. Noi non scindiamo la parola sinistra dal ruolo che in questa fase deve avere un governo. Non ci saranno più Turigliatti”.