Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 24 aprile 2009
Quanti siano esattamente, nessuno lo sa. C’ è chi dice 800 milioni. Chi, invece, azzarda una stima ancora superiore: 900 milioni, forse un miliardo. Sono i debiti che gli enti locali siciliani hanno accumulato con le imprese incaricate di smaltire i rifiuti: qualcuna non vede un euro da più di un anno. «Un costo che l’ inefficienza della politica scarica sulle aziende», lo definisce Giuseppe Catanzaro, presidente della Confindustria di Agrigento. Ma usando un eufemismo. Quel costo, infatti, rischia di rivelarsi una bomba per il bilancio regionale. Perché qualcuno prima o poi dovrà pagare. E di solito, in questi casi, chi mette mano al portafoglio non può essere che la Regione siciliana. Come si sia arrivati a questa situazione è presto detto. Tutto comincia quattro o cinque anni fa con la nascita degli Ambiti territoriali ottimali. Di che cosa si tratta? Dovrebbero essere degli organismi controllati dai comuni che hanno il compito di mettere a gara il servizio di smaltimento dei rifiuti in un determinato territorio, affidandolo a imprese private o pubbliche. La Corte dei Conti in una recente indagine le ha paragonate ad «authority con funzioni non comprendenti la gestione del servizio». In breve ne nascono 27. Con duplicazioni comiche. L’ Ato di Enna, controllato dai comuni della provincia, ha affidato il servizio a una società, Sicilia Ambiente, controllata dagli stessi comuni. Inevitabilmente, dopo tre anni e perdite a rotta di collo è stato messo in liquidazione: o non serviva l’ Ato o non serviva la società. Qualcuno è un semplice consorzio, molti diventano società per azioni, con consiglio di amministrazione, annessi e connessi. Non di rado, con l’ ex politico di turno al vertice, come l’ Ato Catania 3, affidato fino a poco tempo fa all’ ex assessore della provincia di Catania Andrea Castelli (An). Inutile dire che la creazione degli Ato diventa subito occasione per operazioni di stampo puramente assistenziale, come la stabilizzazione di personale precario e l’ assunzione di lavoratori socialmente utili. Alla fine del 2006, secondo una indagine della Corte dei conti, si contano ben 2.148 dipendenti. Con situazioni piuttosto singolari. L’ Ato Palermo 4, per esempio, aveva 347 dipendenti. L’ Ato Catania 4, invece, neppure uno: in compenso spendeva 272.400 euro per i consiglieri di amministrazione e il collegio sindacale. Come si spiegano queste differenze? Semplice: alcuni Ato gestiscono in proprio il servizio di smaltimento rifiuti. Altri passano soltanto le carte. Ma c’ è un’ altra differenza. Alcuni Ato hanno il compito di riscuotere le bollette dai cittadini. Altri si limitano a prendere i soldi dai comuni e fare il bonifico alle imprese. Un sistema farraginoso e soprattutto costosissimo. Con l’ arrivo degli Ato le tariffe sono letteralmente esplose «senza che a ciò», ha sottolineato la Corte dei conti, «corrisponda un miglioramento del servizio». Prima di questo sistema i cittadini pagavano al comune la famosa Tarsu, che copriva non più del 64% del costo. Il resto ce lo mettevano le amministrazioni. Dopo, la Tarsu è stata trasformata in una tariffa (la Tia) che deve coprire il 100% del costo. Più l’ Iva, che non c’ era. Con il paradosso di una tassa che si applica a un’ altra tassa che ha soltanto cambiato nome: da Tarsu a Tia. Più il costo degli Ato, dei consigli di amministrazione e dei loro dipendenti. Naturalmente, però, aumentare le tariffe è sempre impopolare, soprattutto nei periodi elettorali. Così i sindaci e consigli comunali si sono ben guardati dall’ approvare le tariffe applicate dagli Ato che loro stessi controllano. E qui viene il bello. Perché se già prima pochi pagavano, adesso, con quella specie di avallo politico, pagano pochissimi. L’ evasione è diventata astronomica. Gli Ato non hanno i soldi per pagare e sono inevitabili le ripercussioni sulle imprese, vessate dalle penali applicate indiscriminatamente e pagate con il contagocce. Quando vengono pagate. Un caso per tutti, quello dell’ Ato Catania 3. Il servizio è gestito dal consorzio Simco, composto da quattro imprese, fra cui la siciliana Dusty e la umbra Gesenu (partecipata al 45% dal Comune di Perugia), che vanta un arretrato di circa 25 milioni, somma pari al valore di un anno intero di contratto. E inevitabilmente si è arrivati alle carte bollate, con una causa di risoluzione anticipata del contratto intentata dal gestore ormai estenuato. Ora c’ è in ballo una nuova riforma. Il presidente della Regione Raffaele Lombardo ha promesso di ridurre gli Ato da 27 a una decina. Ma le resistenze politiche sono fortissime. E il debito sale, sale…