Estorsioni, armi e affari |Così hanno incastrato i Mazzei - Live Sicilia

Estorsioni, armi e affari |Così hanno incastrato i Mazzei

Ascoltati in udienza i due investigatori della Squadra Mobile che hanno condotto l'inchiesta.

Processo Target
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CATANIA – Il clan Mazzei è in pieno riassetto organizzativo. Il capo è latitante. Nuccio si nasconde e non può seguire gli affari personalmente. La cosca decimata da due blitz (Scarface e Ippocampo, ndr) deve ricomporre le fila. È il 2015. La Squadra Mobile mette in moto una precisa indagine che riesce a documentare la nuova mappa organizzativa dei “Carcagnusi”. Cimici, telecamere, microspie e gps. L’indagine porta gli investigatori direttamente nel covo di Sebastiano Mazzei che il 10 aprile 2015 è catturato. Dopo l’arresto del figlio di Santo Mazzei l’inchiesta non si ferma e la Squadra Mobile fotografa azioni criminali e i cambiamenti al vertice nella cosca. Ad ottobre 2016 scatta il blitz Target. Operazione da cui è scaturito il processo che si è diviso in due tronconi. Lo stralcio abbreviato si è già chiuso con una raffica di condanne (tra cui quella di Sebastiano Mazzei), il processo ordinario è entrato nel vivo del dibattimento. Sono stati rinviati a giudizio Maurizio Motta, Giuseppe D’Agostino, Alfio Musumeci e Vincenzo D’Antoni.

A parlare nel corso dell’ultima udienza è l’ispettore della Squadra Mobile Sebastiano Cassisi. L’investigatore, rispondendo alle domande del sostituto procuratore della Dda Giuseppe Sturiale, sviscera i tratti più salienti dell’inchiesta. La polizia appronta una precisa rete di intercettazioni: cimici in carcere, telefoni captati e microspie piazzate in luoghi strategici. Dalle conversazioni emergono nuove figure: nuove leve, che hanno rapporti strettissimi con i capi della cosca. Sono documentati incontri in via Belfiore, strada di San Cristoforo conosciuta come il “traforo”: roccaforte storica della cosca Mazzei. Una riunione in particolare avviene il 26 maggio 2014. Il gruppo catanese – evidenzia Cassisi nel corso della sua audizione – proprio due giorni prima è intercettato a Bagheria, in provincia di Palermo. Un dato da non sottovalutare a livello investigativo. I Carcagnusi, forse, continuano a tenere e mantenere i rapporti storici con i boss palermitani. Rapporti avviati nel 1992 da Santo Mazzei, il capo storico, e sanciti nel 1998 con un palermitano del calibro di Vito Vitale, vertice della frangia corleonese di Cosa nostra.

Molti spunti investigativi provengono anche dalle intercettazioni in carcere di Giuseppe D’Agostino, già coinvolto nel blitz Enigma. Dalle altre conversazioni captate gli inquirenti mettono piano piano insieme i pezzi del puzzle. E se prima della cattura di Mazzei la cosca è affidata alle redini di Carmelo Occhione, alcuni mesi dopo la reggenza del clan passa a Maurizio Motta. I due sono protagonisti di una intercettazione proprio la mattina della cattura di Nuccio Mazzei,  i due forse sospettano che qualcuno abbia spifferato alla polizia il nascondiglio del capomafia. Il blitz – spiega l’ispettore Gaetano Buffo – è il frutto di un preciso schema investigativo fatto di telecamere e pedinamenti che porta dritti alla villetta di via Delle Rose a Ragalna. Motta invita Occhione – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare –  a consultare il quotidiano on line LiveSicilia (“lo hai letto il live?”) per leggere proprio l’articolo inerente l’arresto del latitante. Occhione ribatte di aver già letto.

L’inchiesta porta a far luce anche su due colpi messi a segno ad Augusta e a Siracusa. In particolare al negozio dei fratelli Angiolucci. I Mazzei rubano occhiali per il valore di oltre 180 mila euro. Le indagini e le intercettazioni permettono di recuperare parte della refurtiva, che era stata catalogata e inventariata per poter essere venduta (un’intercettazione li porta direttamente in via Como a casa di Alfio Musumeci, ndr). L’ispettore Cassisi evoca con dovizia di particolari ogni intercettazione che porta a incastrare il gruppo criminale. Perquisizioni e intuito investigativo blindano l’inchiesta. Dall’ascolto delle intercettazioni gli inquirenti riescono anche a sequestrare un arsenale composto da una mitraglietta, una pistola e diverse cartucce.

Ma non finisce qui. Le estorsioni sono ancora una volta una delle linfe finanziarie del clan. Su questo filone investigativo emerge il ruolo di Vincenzo D’Antoni per un’estorsione. Per la precisione di un recupero crediti.

 


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