Cerchi tra le venti, venticinque norme approvate finora dall’Ars, ma non trovi. Non trovi una questione o un tema, non trovi una riforma o una scelta. Trovi invece proroghe e proroghine, correzione di refusi e deroghe, trovi aggiunzioni a leggi esistenti e cancellazioni di vecchie norme. E trovi ovviamente i tagli, soprattutto nel testo del bilancio. Sotto i tagli, niente.
Ma davvero niente, in questa manovra finanziaria tanto attesa, tanto voluta. Nemmeno tra le norme attualmente “accantonate” in attesa di un accordo politico a Palazzo. E si potrebbe obiettare che senza soldi non si può cantar messa. Ma è vero fino a un certo punto. Non esiste, se si esclude il discutibile articolo sul “Modello Portogallo”, un tema su cui discutere davvero, qualcosa a cui appassionarsi. E invece, al massimo, trovi lo spostamento di un edificio da un ente regionale a un comune, qualche intervento sull’urbanistica. Roba da consiglio comunale. E nemmeno del più prestigioso.
E dire che anche quest’anno si è giunti alla “manovra” attraverso un percorso quasi netto: quello delle leggi approvate dall’Ars nei mesi precedenti. Anche in questo caso, poco o nulla. Più nulla che poco, a guardar bene anche la qualità dei disegni di legge che hanno visto la luce nel 2018. E così, era lecito aspettarsi qualcosa di più in questa manovra. Anche sulla base dei passi ben più convincenti della prima Finanziaria, quella che il governo aveva esitato prevedendo tra le altre cose la liquidazione dell’Esa e l’accorpamento degli Iacp. Norme sparite da un po’ per volontà dell’Ars. E nella Finanziaria che è oggi in Aula non c’è niente che vi somigli.
E così, la discussione è scivolata, ora dopo ora, nella grigia noia, con pochi e non eclatanti sussulti, fino alla norma con la quale il presidente dell’Ars Gianfranco Micciché ha voluto “regalare” una Orchestra fantasma alla Fondazione Federico II. Una norma completamente riscritta, dopo le polemiche dei giorni scorsi: senza un cda, con un comitato scientifico composto da esperti a titolo gratuito, senza revisori dei conti, senza il comma che prevedeva la possibilità di attingere a fondi pubblici e soprattutto senza musicisti. È già qualcosa, comunque, e almeno chiude la parentesi di una iniziativa che appariva grottesca a fronte dei problemi gravissimi che venivano discussi nelle stesse ore, nella stessa legge.
Al di là del cadeau musicale, come detto, il sottofondo di questa finanziaria è quello della resa e dell’apatia. Facciamola, perché va fatta, e speriamo di ridurre al minimo i tagli. Questo l’umore che si coglieva tra i corridoi. Poco più. E il clima ha contagiato anche le opposizioni. Quella grillina, in particolare (proprio perché da quel lato di Sala d’Ercole ti aspetti una opposizione intransigente), che è apparsa sorprendentemente morbida rispetto ad anni e finanziarie passate. Stavolta, in alcuni articoli sono scomparse anche le “bandierine” dei cosiddetti emendamenti soppressivi, quelli che quasi in automatico i partiti che si oppongono alla maggioranza piazzano su ogni norma. Qualche intervento, soprattutto del deputato Di Paola, qualche obiezione e poco più anche in questo caso. Per il resto, come detto, il silenzio in Aula – è il caso ad esempio proprio della norma sull’Orchestra – che stride di fronte alle dirette Facebook in cui i deputati grillini nei giorni scorsi avevano fatto la voce grossa. Ma sarà stato il clima stesso di questa Finanziaria del nulla che non promette nient’altro. Solo il vuoto pneumatico di una legge senz’anima che si aggiunge alle pochissime approvate finora da questa “nuova” Ars. Per il resto, solo tagli. E sotto i tagli, niente.