“Ho letto della tragedia capitata a Paola Di Caro e a Luca Valdiserri. Che dolore. Venerdì scorso eravamo insieme, con Paola, in Transatlantico, io con mia figlia e lei che, mentre la guardava, mi diceva di suo figlio, quando era piccolo, con occhi pieni d’amore”.
E’ la storia terribile di Francesco Valdiserri, figlio di Luca e di Paola, bravissimi giornalisti del ‘Corriere della sera’, travolto e ucciso da un’auto, a Roma.
E il whatsapp notturno, di questi giorni, dell’onorevole Carolina Varchi tenta di raccontare proprio il dolore, con semplicità, senza sovrastrutture, né trucchi. Il dolore nitido, immane, che non si può raccontare. Ed è – quel messaggino al cronista – il riflesso di un’anima che non vuole, né potrebbe, alleggerirsi, ma soltanto condividere un peso. Carolina è una donna ed è una mamma, come tutte le donne lo sono, in una qualità specifica del loro infinito amore. Ecco perché, a quelle latitudini spirituali, l’atrocità dell’accaduto non conosce mediazioni.
Perché questa è una tragedia di madri e di padri. Di chi, in prima persona, adesso, fa i conti con la perdita di un figlio. Di chi ha i figli con sé, li stringe come una benedizione avvelenata dal terrore dell’ineluttabile. Frastagliato è il sentiero dei genitori, sospeso tra l’amore e la paura, entrambi indicibili.
Questa è la tragedia di Paola e Luca e lei ha scritto ancora: “Gli eroi sono tutti giovani e belli. Lui era semplicemente un ragazzo felice. E io non lo sarò mai più. Ciao Francesco amore mio”. Gli occhi di Francesco. Negli occhi e nei racconti di sua mamma e delle mamme la luminosità di un ragazzo risplende, sfolgorante, nella narrazione della sua assenza.
Non a caso il messaggio a una mamma, forse, il più sincero, è stato il tweet di Giorgia Meloni che, oggi, ha partecipato ai funerali: “Cammineremo con te, perché non tu non sia sola mentre attraversi l’inferno”. Non ci si può sottrarre all’inferno, talvolta. Ma è diverso percorrerlo da soli, o con una mano protettiva poggiata sulla spalla. E una voce che dice: “Io sono qui. Con te”. (Roberto Puglisi)