PALERMO – Una nuova tegola sul capo di Antonio Ingroia. Dopo le grane per la sua presenza in aula, in qualità di avvocato, senza avere prestato giuramento, adesso è indagato dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta per la fuga di notizie relativa alla pubblicazione dell’interrogatorio di Bernardo Provenzano.
Tutto nasce dalla denuncia dei figli del boss, Angelo e Francesco Paolo che, attraverso il loro legale, l’avvocato Rosalba Di Gregorio, avevano puntato il dito contro Ingroia e un altro ex procuratore aggiunto di Palermo, Ignazio De Francisci. L’ipotesi era violazione del segreto istruttorio. Le indagini dei pm nisseni hanno escluso responsabilità da parte di De Francisci, oggi avvocato generale, e si sono concentrate solo sulla figura di Ingroia. Soltanto l’ex pm, che prima ha tentato senza successo la sacalata politica e ora ha scelto di fare l’avvocato, è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura nissena guidata da Sergio Lari, competente per i procedimenti a caricio dei magistrati in servizio a Palermo. Di più non trapela. Ingroia taglia corto: “Siamo nell’ambito della fantasia più totale”.
Il procedimento riguarda l’interrogatorio al quale fu sottoposto il padrino corleonese. Era il 31 maggio 2012. Ingroia e De Francisci incontrarono Provenzano in carcere. La notizia venne riportata dal Fatto Quotidiano il 5 giugno. Il verbale non era stato ancora trascritto. Sarebbe stato trasferito nero su bianco solo due giorni dopo, il 7 giugno. In cella c’erano solo i due pm e Provenzano. Non era stato informato, infatti, l’avvocato Di Gregorio. Da qui la denuncia del legale: solo i pm potevano avere raccontato i particolari dell’incontro alla stampa.
Non era necessaria la convocazione perché, si difesero in Procura, il capomafia era stato sentito come persona informata sui fatti, e non come indagato, sul suo presunto tentativo di suicidarsi con un sacchetto di plastica. Di avviso opposto sia il difensore che il giudice per l’udienza preliminare del processo sulla trattativa, Piergiorgio Morosini, che dichiarò nullo l’interrogatorio: che c’entravano con lo stato di salute le domande sulla trattativa Stato-mafia, sui apporti con Vito Ciancimino, e l’invito, se tale fu, più o meno esplicito, a pentirsi? Provenzano in quella sede doveva essere sentito in qualità di indagato.