“I pupi non mangiano ma ti fanno mangiare”. Eppure a noi è sembrato che quei pupi apparentemente inanimati su quel palco prendessero vita.
Inizia con questa sensazione magica la nostra intervista a Giacomo Cuticchio, che ci riporta indietro nel tempo con uno sguardo appassionato e proiettato al futuro.
Con grande naturalezza Giacomo ci racconta la sua storia facendoci entrare nel vivo di quelle che sono state le sue esperienze familiari e personali, tutte indissolubilmente legate all’opera dei pupi.
“Io sono nato in questa famiglia, per me è stato quasi naturale. Sono figlio d’arte, mio padre ha sempre fatto questo così come mio nonno, per cui per me non è mai stato un mestiere inteso come tale, quanto più un gioco. Effettivamente è un mestiere come tanti altri, per cui serve un lunghissimo apprendistato, perché per arrivare a far vivere queste marionette c’è tutto un bagaglio culturale che poi va lavorato, un gran lavoro da fare, che parte dal microcosmo per arrivare al macrocosmo”. Vivere, lavorare… la vita delle marionette, pensiamo, non è solo un lavoro, ma l’intera vita di Giacomo.
Sicuramente l’ opera dei pupi riguarda molto da vicino la nostra tradizione siciliana, ma è un’arte riconosciuta in tutto il mondo.
Giacomo ci racconta con entusiasmo le sue magnifiche esperienze vissute all’estero e dello stupore primordiale negli occhi dei turisti estremamente affascinati da quest’arte.
“Con il pubblico straniero è sempre una festa, i turisti salvarono il teatro dei pupi e questo vale pure oggi. Questo teatro è una sorta di scatola magica, una macchina del tempo e noi siamo i custodi e missionari di questo patrimonio, lavoratori dello spettacolo. Con il pubblico estero è sempre una festa perché loro, che non si sono mai imbattuti in una tradizione come la nostra, scoprono veramente un mondo nuovo e davvero si rendono conto di come ancora oggi un uomo può emozionare con una marionetta una platea di mille persone, tornando all’essenza primaria delle cose, riscoprendo il fantastico, la magia”.
Nel 1997, ad opera di Mimmo è nata la prima scuola di pupari e cuntisti, ed è difficile continuare la notorietà di un’arte nobile come il teatro dei pupi in un tempo ormai in continuo progresso. “La nostra è una missione, perché per quanto questo sia un meraviglioso lavoro, dietro c’è un rigore bestiale. Ad esempio se si suona il pianoforte in maniera scorretta, inevitabilmente questo si rovina; le corde si scordano e i piolini sotto i tasti si storciono… dunque la nostra più grande impresa è quella di tutelare e salvaguardare quelli che sono i codici che difendiamo, codici che differenziano il principiante dall’amatore. E per quanto questo sia un mondo di nicchia, profondo, dietro vi è un mondo vero fatto di cuori e di sensazioni, molto lontano dall’idea odierna di fretta e superficialità. In una società come la nostra, questo interesse all’arrivare al nocciolo, all’essenza, al meccanismo che regola il funzionamento delle forme vi salva. La cosa che mi preme di più è far sì che questo resti un Teatro con la “T” maiuscola e che non diventi un fenomeno da baraccone in nome di una questione prettamente materiale ed economica”(ndr).
La nostra intervista termina così, con il calore di Giacomo che dedicandoci questo tempo ci fa riscoprire un pezzo della nostra storia e meravigliosa tradizione siciliana dando uno slancio innovativo al teatro dei pupi. “Ho la consapevolezza che purtroppo di eterno non c’è niente…ma penso che su tutto ciò che finisce non tutto muore.”
(Marzia Robberto)
(Costanza Geraci)