I bei tempi di Sturiale, mafia e champagne |A cena con i Santapaola a Taormina - Live Sicilia

I bei tempi di Sturiale, mafia e champagne |A cena con i Santapaola a Taormina

Caviale, picciotti e hotel di lusso. Eugenio Sturiale, prima di diventare collaboratore di giustizia, amava la bella vita a Taormina a braccetto con Irene Santapaola e Roberto Vacante. Le foto in esclusiva.

CATANIA – “Tutto comincia alla Perla Jonica”. Eugenio Sturiale inizia così il racconto della sua vita. La stessa che ha deciso, con le sue scelte, di separare in capitoli estremamente diversi gli uni dagli altri. Gli anni trascorsi all’Università di Catania a rincorrere una laurea in Scienze motorie, la passione per le arti marziali, di cui era istruttore, fino all’incontro che lo segnò per sempre. Il rapporto di vicinato, durante una vacanza estiva, con Enzo Santapaola, nipote del più sanguinario boss di Cosa Nostra catanese, Nitto. Sturiale iniziò così la sua ascesa dentro la cosca, tanto da diventare rapidamente, l’uomo di fiducia dei Santapaola, legato da quello che lui stesso ha definito “un rapporto quasi di sangue”.

Fiducia, riconoscenza e intimità che hanno come cartina di tornasole numerose istantanee tratte dall’album fotografico della famiglia, che LiveSiciliaCatania mostra in esclusiva (GUARDA LE FOTO). Foto datate, in cui il boss veniva immortalato all’interno del “Mazzarò Sea Palace”, prestigioso hotel a cinque stelle di Taormina. Banchetti, battesimi e matrimoni. Momenti spensierati, passati con i più stretti congiunti dei Santapaola, la moglie Maria e il fido gregario, il boss dal camice bianco Roberto Vacante.

Arrestato per l’ultima volta nell’operazione “Revenge” del 2009, Sturiale ha deciso di scrivere un nuovo capitolo della sua vita, collaborando con la giustizia nel 2010. Una decisione quest’ultima, che ha accomunato pure la moglie, Maria Biondi. Una trasformazione radicale per la “coppia del crimine” della mafia etnea.

Dal 1985 al 1991 Sturiale, entrò nelle grazie della famiglia Santapaola. Allora incensurato, e favorito dal possedere un regolare porto d’armi, si occupò di logistica, trasportando armi in giro per la città. Pistole e silenziatori, da nascondere senza destare sospetti. Il salto di qualità e l’ingresso vero negli affari di Cosa Nostra arrivò nel 1992, anno in cui acquistò una quota societaria del supermercato “Super ESSE” diventando il prestanome di Aldo Ercolano, nipote di Nitto Santapaola e allora reggente della famiglia. 24 ore dopo l’operazione Sturiale venne per la prima volta arrestato. La permanenza in carcere durò pochi giorni. Grazie ad un vizio procedurale il boss tornò in libertà. Le porte del carcere si riaprirono nuovamente nel 1993 con la storica operazione “Orsa Maggiore”. Patteggiata la pena, dopo 17 mesi ritornò in libertà.

Nel 2003, quello che sembrava un rapporto inscindibile tra Sturiale e i Santapaola, subì una svolta radicale. La famiglia, a cui il boss era sempre appartenuto, decimata dai numerosi arresti, decise per mano dell’allora reggente Maurizio Zuccaro di condannarlo a morte. “Volevo risolvere la questione – afferma il pentito in uno dei tanti interrogatori – girando in scooter per la città con due 7,65 per cercare chi mi doveva uccidere, mentre loro cercavano me”.

Dall’esecuzione mancata Sturiale decise di compiere la scelte più infamante per un mafioso, quella di passare alla famiglia avversaria dei Santapaola, i Cappello: “Mi presentarono – racconta ai magistrati – sotto la loro protezione, in un incontro avvenuto al bar Lanzafame di San Cristoforo , dove era presente da un lato Angelo Santapaola e dall’altro i Cappello. Orazio Pardo gli disse “Finiamola con questa storia, Eugenio non si tocca, adesso è nostro amico””. La nuova vita nel crimine catanese di Sturiale trovò il suo filo conduttore nel traffico di droga e nei rapporti con la Camorra “Una volta portai 7000 euro a Napoli, utilizzando come escamotage un compromesso di una casa che avevo venduto. Così potevo attraversare lo Stretto senza problemi”.

Droga e non solo. Tra gli affari in cui compare il nome del pentito vi è quello della cava “Pietra Dorata” di Mistretta in provincia di Messina, in cui il boss era socio per il 20%. La gestione della cava avrebbe alimentato le attenzioni delle principali famiglie mafiose siciliane. In ballo presunte forniture per appalti milionari, tra cui quello di 140 miliardi di lire per il Campus dell’Università “Kore” di Enna. “Si parlava – spiega ai magistrati – di vincere l’appalto grazie soprattutto ad appoggi politici”.

Nel 2009 Eugenio Sturiale decise di spostarsi dalla città di Catania al vicino hinterland, inserendosi così nella famiglia dei Laudani. Prima dell’ultimo arresto e del pentimento. Le dichiarazioni di Sturiale, dal presunto “pestaggio” ad Angelo Lombardo fino a Scuto. I ricordi del boss-pentito sono entrati con prepotenza in decine di processi e indagini. Nel 2010 depose nel processo di primo grado all’ex “re dei supermercati” Sebastiano Scuto.

Nell’aprile 2012, durante le fasi cruciali del processo a carico dell’allora Governatore Raffaele Lombardo, Sturiale raccontò di un incontro, a cui lui stesso avrebbe partecipato, tra l’autista del politico autonomista e Orazio Buda, cugino del sanguinario boss Orazio Privitera “Colloquio – racconta il pentito – durante il quale il primo aveva assicurato al Buda che insieme a Raffaele Lombardo si sarebbero ricordati di quello che il Privitera stava facendo per loro”. Nei racconti del pentito c’è anche una confidenza di Carmelo Santocono, uomo di fiducia di Aldo Ercolano. “Mi dissero che avevano malmenato il fratello del presidente della Regione mandandolo in ospedale per le promesse non mantenute”. Accuse sempre respinte dai fratelli Lombardo.

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