In una recente intervista il nuovo comandante della polizia municipale di Palermo, Angelo Colucciello, espone le iniziative mirate a contrastare le irregolarità e l’inciviltà, nonché a migliorare il decoro urbano. A margine, tuttavia, lo stesso dichiara come “la città avrebbe bisogno di rispetto delle regole e non di sanzioni”, chiosando come in 13 anni nel capoluogo non ha mai visto la strada in cui abita libera dalle auto in seconda fila di chi fa la spesa al supermercato. Il comandante ha espresso in poche battute ciò che dovrebbe costituire la base della convivenza civile: il rispetto delle regole.
Quando i semafori sono… decorazioni
Ma perché allora i palermitani sono così refrattari alle regole? Perché molte di queste vengono dai più bellamente ignorate? Perché, come sostiene qualcuno, a Milano i semafori sono un obbligo, a Roma un suggerimento e a Napoli (ma vale anche per Palermo) semplici decorazioni? Qualche sociologo potrebbe ravvisarne le cause nella condizione storica in cui si è trovata per secoli la nostra regione. Pensare alla Sicilia da un punto di vista storico non può non ricondurci ai popoli che nel corso dei secoli l’hanno dominata. La Sicilia come terra di conquista.
“Magnifiche civiltà eterogenee” ma “nessuna germogliata da noi stessi”, come si trovò a spiegare nel Gattopardo il Principe Fabrizio all’emissario piemontese venuto per offrirgli un posto da senatore nella neo nata Repubblica. Le numerose conquiste hanno avuto l’effetto di fomentare la ribellione; da qui sarebbe originata l’insofferenza a qualsiasi forma di imposizione. Ma, anche senza scomodare interpretazioni storico – sociologiche, deve tristemente riconoscersi come l’intolleranza alle regole sia un tratto caratteristico di tanti, troppi, nostri concittadini.
L’insegnamento di Sciascia
Il rispetto delle regole viene da molti vissuto come una limitazione alla propria libertà, come una sorta di subalternità culturale o, ancora, di scarsa intelligenza. Nel libro-intervista “La Sicilia come metafora” Leonardo Sciascia, rievocando la figura del nonno, ricordava come questi fosse considerato “stupido” dalle figlie, perché non provò mai ad arricchirsi; “stupido ad essere onesto, cocciuto ed incorruttibile”. D’altronde, si sa, i siciliani, i palermitani, non hanno bisogno di regole eteroimposte, perché loro sono i furbetti perfetti, perché sono il “sale della terra”, rievocando la citazione biblica usata dal Principe Salina con Chevalley.
E così si persevera nei comportamenti incivili e sprezzanti delle regole non appena si capisce che ce lo si può permettere, che non si rischia nulla. Bisogna però riconoscere che comportamenti anarcoidi sono anche figli del prolungato malgoverno della città, ed allora ben vengano le sanzioni (che siano efficaci ed irrogate senza eccezioni) e la tolleranza zero, come indica lo stesso comandante Colucciello.
La maleducazione, la mancanza del dovere civico, il mancato rispetto di norme e regolamenti non sono semplici variabili comportamentali ma contribuiscono alla disgregazione dei valori e del benessere collettivo. Fanno da anticamera al degrado sociale e culturale. Il cittadino deve essere allora il primo responsabile delle conseguenze che derivano dalle sue azioni. Se del caso, si potrebbe anche pensare ad un diverso sistema sanzionatorio più efficace di quello vigente, tramite le opportune modifiche legislative.
Formare le coscienze civiche
Ma le sanzioni da sole non bastano. È necessario agire sulle coscienze, dei giovani innanzitutto. Puntare sulla formazione di una coscienza civica che conduca i giovani (e non solo) all’indignazione di fronte all’inciviltà e alla maleducazione altrui, ovunque queste si manifestino: alla posta, al supermercato o alla fermata dell’autobus. Che possa contribuire a ristabilire l’ordine valoriale che sembra si stia perdendo: meglio cittadini irrispettosi, arroganti e impermeabili alle regole o cittadini educati?
Bisognerebbe far capire che rispettare le regole non significa essere sciocchi o privi di personalità ma significa contribuire a creare una società più sana e più vivibile per tutti. Essere rispettosi non è un demerito, tutt’altro. Gli educatori, la scuola, gli amministratori, devono contribuire a potenziare e valorizzare il senso dell’appartenenza alla comunità. Già ad Aristotele, nella sua Politica, fu evidente come l’uomo si realizzi attraverso le relazioni con gli altri.
Il rispetto del vivere comune
La società è una grande famiglia allargata che ci dà sicurezza, stabilità, ci offre un punto di riferimento, ci definisce davanti a noi stessi, anche se questa appartenenza può costare qualche sacrificio. Nessun vantaggio è completamente “vantaggioso” e tutto ha una contropartita: le regole sicuramente pongono dei limiti, sono esse stesse dei limiti. Ma il loro rispetto è condizione essenziale di un sereno vivere comune. Le regole sono necessarie per rispettare le esigenze degli altri e perché gli altri rispettino le nostre.
Solo ponendoci in quest’ottica potremo non considerare un sacrificio eccessivo parcheggiare qualche metro più in là piuttosto che in seconda o in terza fila. O potremo resistere alla tentazione di diventare noi stessi incivili in risposta all’inciviltà altrui. I siciliani devono svegliarsi dal loro sonno, così ben descritto dallo stesso Don Fabrizio. L’alternativa è la legge della giungla o il selvaggio West. Comandante, per quel che vale, io sono d’accordo con Lei. Buon lavoro.